Politica: il Pnrr sta frenando o franando? La destra non lo dice chiaramente, sembrerebbe quasi non volerlo più. La Sinistra spera in un flop europeo di Meloni. A perderci sarebbe comunque l’Italia…

La destra italiana condotta dalla Meloni, vuole governare anche in Europa, ma sembra non avere un’idea di governo nemmeno per il nostro Paese. È senza una “bussola”. Le forze politiche che sognano di spaccare la storica alleanza tra socialisti e popolari a Bruxelles per controllarne le istituzioni sono in realtà partiti con obiettivi e interessi diversi. La polemica del Pnrr dimostra l’assenza di una visione comune e l’incapacità di fare delle scelte precise… Meloni ha vinto le elezioni dell’anno scorso e si è trovata ad amministrare fondi che non aveva chiesto, erano stati concepiti e concessi al tempo del governo Conte, e consolidati poi dal governo Draghi. Quando Meloni e i suoi di FdI, erano  all’opposizione… Come se non bastasse si è capito nei mesi scorsi, che la sua priorità non era spenderli, ma occupare i poteri che li spendevano. Meloni ‘scaccia’ Draghi “Il Pnrr si può cambiare e lo spread ci premia”. Davanti alle aziende italiane in più occasioni,  rivendica la crescita del Pil al di sopra delle aspettative. E lancia frecciatine al suo predecessore: “Lo stadio di Firenze non l’ho messo io nel Recovery”. Il Pnrr sta frenando o franando? La destra non lo dice chiaramente, ma sembrerebbe quasi non volerlo più. Legittimo chiedersi: Meloni vuole prendersi i soldi del Pnrr o vuole solo tutto il potere? Come se ciò non bastasse a sollevare più di una perplessità…  ecco che, cresce ancor più la preoccupazione nel vedere che il Partito democratico non fa nulla per dare un’alternativa pragmatica al clamoroso ritardo del governo Meloni sull’attuazione del Piano di ripresa e resilienza, e anzi sembra che speri proprio nella catastrofe che alla fine probabilmente chiarirebbe c e questo governo non era “pronti” per nulla, ma minerebbe ancora una volta la credibilità di tutta la classe politica italiana. Un pezzo della sinistra politica e intellettuale quindi senza dirlo esplicitamente, si augura che il governo Meloni naufraghi sulla attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza sul quale in effetti sta incontrando difficoltà notevolissime. Se l’Esecutivo, che vuole fare tutto da solo, inciampasse su questo che è il principale impegno del suo programma è molto probabile che non riuscirebbe a sopravvivere a se stesso e bisognerebbe inventare un altro governo tecnico di gente capace a realizzare le cose. Ma il prezzo del fallimento ovviamente lo pagherebbe tutto il Paese. I cittadini che vedrebbero irrealizzati progetti fondamentali con l’Italia che davanti all’Europa e al mondo si dichiarerebbe inadempiente, incapace e sprecona di soldi che ci sono stati prestati e in parte regalati. Una vera catastrofe. Nessuno dovrebbe ragionevolmente augurarsi un disastro epocale di questo tipo, anche se comportasse la fine politica di Giorgia Meloni & C. (e francamente osservandola non saprei bene neanche dire se ella se ne renda pienamente conto) perché con la Presidente del Consiglio finirebbe nel discredito tutta la politica. Ed è vero che non c’è alcuno che apertamente stia tifando per il fallimento del Pnrr. Ma quello che servirebbe è una prova trasparente del contrario: e cioè che la destra lo voglia realizzare veramente, ma che anche la sinistra, i suoi leader, i sindacati, i giornali simpatizzanti dicessero che sono pronti a fare tutto ciò che è in loro potere per realizzare le riforme e le misure contenute nel Piano. Occorrerebbe cioè una iniziativa nazionale, un’assunzione di responsabilità, una disponibilità a dare una mano all’Italia. Il che non significherebbe fare da stampella al Governo. Anzi. Significherebbe snidarlo. Andrebbe fatto a maggior ragione che il governo esibisce una muscolarità autoreferenziale che davvero mal si attaglia alle fragili spalle di Raffaele Fitto, l’uomo su cui l’Esecutivo Premier in testa, sta scaricando tutto il peso di un’opera gigantesca quasi a voler precostituire un ‘capro espiatorio’ (lui forse comincia ad esserne cosciente) se le cose non dovessero funzionare: e infatti non stanno funzionando, come si rende conto lo stesso ministro che un giorno dice una cosa e il giorno dopo un’altra con il risultato che ancora non c’è un cronoprogramma dettagliato delle cose da fare e, come ha detto Antonio Misiani del Pd, siamo «a carissimo amico» mentre Chiara Appendino gli ha fatto eco: «Questo governo ha speso un miliardo su trentatré previsti dal Pnrr per il 2023, è in un ritardo pazzesco». Meloni ha cominciato a costruire falsi alibi e improbabili avversari, dall’Unione europea alla Corte dei Conti e domani chissà chi: un remake di Silvio Berlusconi che a suo tempo chiedeva di lasciarlo lavorare. Lei appare sprovvista del necessario know how e dello spessore culturale per giocare un ruolo attivo dentro questa vicenda eminentemente europea, il che non le ha impedito di avocare a Palazzo Chigi tutta la pratica provocando come si sa un indebolimento della governance che era stata messa in piedi da Mario Draghi. Nel Partito democratico si alza la polemica – ieri e l’altro ieri c’è stata battaglia in Parlamento sulla fiducia al decreto sulla Pubblica amministrazione che taglia le unghie ai controlli della Corte dei conti – ma purtroppo fuor di polemica non pare ancora emergere alcuna proposta chiara da parte del governo su cosa e come cambiare il Pnrr. E anche l’Opposizione con il Pd intesta non va oltre la protesta e la denuncia di torsioni autoritarie che sarebbero il vero obiettivo del governo di spostarsi sempre più verso le autocrazie europee e mondiali, Eppure, Enzo Amendola, la persona che nel Pd è la più capace di muoversi sul terreno del Pnrr, ha detto chiaramente qualche giorno fa al Corriere della Sera che «se va in malora il Pnrr ci perderà la credibilità del Paese, anche sui mercati» e ha spiegato che «dopo sette mesi non c’è un pezzo di carta su cui lavorare». Ma come detto alle parole non segue alcun fatto.  Il Pd si lecca le ferite della recente sconfitta elettorale mentre la vita va avanti; la sinistra un tempo criticava durissimamente i governi democristiani ma al tempo stesso li sfidava al confronto. Oggi la sensazione è di una critica talvolta un po’ a casaccio che mostra una sorta di fuga dal confronto di merito… e cresce il disgusto per la politica con l’astensionismo dal voto… e pensare che fanno tutti così, nella speranza di ricevere invece quattro voti in più…

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