Politica: un omaggio di troppo. Un funerale quello di Berlusconi… poco berlusconiano con l’Italia che si interroga su come ripartire senza di lui. Berlusconi conteneva moltitudini, ma ha regnato più che governato…

L’epopea dell’uomo che ha innovato la società e la politica italiana e che è finito, al contrario di quanto previsto nel Caimano, col rovinare prevalentemente sé stesso e la sua eredità… Silvio Berlusconi si contraddiceva perché era vasto, conteneva moltitudini. Era tutto e il contrario di tutto, un ‘bauscia’ e un ‘libertino’, ma anche un intrattenitore e un criminale, un imprenditore politico e un politico imprenditore. Era comico ed era tragico, mentiva, mentiva tanto, spesso per il piacere di farlo e molto di più per tornaconto personale… Berlusconi ha cambiato la società e la politica, da principio innovando sia l’una sia l’altra, ma a guardare bene in realtà ha regnato più che governato. Le fioriere ben curate di Palazzo Chigi e le alte uniformi dei picchetti d’onore sono state più importanti dei dossier di Stato e dell’economia italiana, sebbene poi si sia messo velocemente da parte quando la situazione si è fatta incontrollabile anche per colpa sua e abbia cambiato la politica estera italiana da filo araba a filo israeliana e dall’essere l’ultima ruota del carro franco-tedesco fino a diventare quella del più importante alleato europeo degli Stati Uniti dopo la Gran Bretagna. Berlusconi ha realizzato un suo personalissimo “Sessantotto”, come ha scritto in un libro, naturalmente della berlusconiana Einaudi, il poeta Valerio Magrelli, un intellettuale non sospettabile di intelligenza col Biscione, portando l’immaginazione al potere, più incubo che sogno ovviamente, più matericità dell’illusionismo che illusioni del materialismo. Berlusconi è stato tutto tranne che un leader di plastica, «meno male che Silvio c’è» non è solo una canzonetta, ma l’invocazione viva e pseudo religiosa del suo popolo. Berlusconi è stato un leader carnale, altro che di plastica. Gli avversari non l’hanno mai capito, ma solo demonizzato, anche se a volte hanno ceduto al fascino del grande seduttore e firmato contratti sugosi con le sue tv e le sue case editrici. Gli adulatori non l’hanno mai ben servito, impegnati a ottenere qualcosa per sé e non a costruire qualcosa per il paese. Una per tutte, la battaglia per la giustizia giusta. Berlusconi ha subìto un accanimento giudiziario sicuramente senza precedenti nella storia repubblicana, a volte era innocente e altre volte no, ma non era affatto “estraneo” come, ad esempio Enzo Tortora alle cose per cui veniva regolarmente massacrato. La battaglia garantista in mano a molti dei suoi scagnozzi era persino folcloristica (Ruby, la nipote di Mubarak) e alla fine il risultato finale è stato Fofò Dj a Via Arenula e il trionfo dei mozzorecchi in tutto il paese, talmente squinternata e poco credibile è apparsa la doppia morale dei berlusconiani garantisti con Berlusconi e giustizialisti con i suoi avversari. Ha costruito Milano due e con Milano due anche uno dei maggiori centri di eccellenza sanitaria, il San Raffaele, per convincere con le buone oltre che con le cattive a cambiare le rotte degli aerei da e per Linate che disturbavano i pazienti di Don Verzé e soprattutto i potenziali clienti immobiliari di Berlusconi. Ma Berlusconi è anche il responsabile della rinascita di Milano uno, la nuova metropoli-place-to-be, quella dei gastro pub sotto le torri delle archistar e della riscossa cosmopolita, che è stata progettata negli anni in cui i suoi hanno governato la città. Berlusconi è stato tutto tranne che un vero “Caimano”. Infatti, non ha lasciato macerie, alla sua uscita di scena, non ci sono stati fuoco e fiamme, più banalmente non ha lasciato niente di credibile e di accettabile né nella politica né nella società, e laddove era stato innovatore è tristemente diventato irrilevante. L’unica cosa che ha distrutto è stato sé stesso, la sua immagine, la sua legacy con le cene eleganti e con gli ominicchi di cui si è circondato, lui che era partito con Colletti, Ferrara, Vertone, Mentana, e Urbani e Martino, finanche con Santoro a Mediaset e con Annunziata a presiedere la Rai, ma che è finito con Mario Giordano, Nicola Porro e Paolo Del Debbio …la setta dei retequattristi. Berlusconi ha rovinato tutto quello che poteva rovinare e che aveva creato con genialità e sregolatezza: le tv che avevano innovato la società italiana trasmettono pressoché spazzatura, la Mondadori non ha più i giornali e i suoi libri non sono più rilevanti, al posto del Milan è rimasto il Monza. Berlusconi ha ammaliato un terzo dei nostri connazionali con l’idea di un nuovo miracolo italiano, una versione indigena del sogno americano, ma è finito a raccontare barzellette sconce a un plotone di reduci e di badanti. Lui che ha provato a portare la Russia dentro la Nato per chiudere davvero la Guerra Fredda una volta per tutte ha tragicamente concluso la carriera politica da portavoce del criminale Vladimir Putin, già arruolato come professore di liberalismo all’università di Villa Gernetto. Lui che ha fatto carriera politica denunciando le atrocità del regime di Mosca e pubblicando il famigerato libro nero dei crimini del comunismo è lo stesso che durante una conferenza stampa ha mimato una raffica di mitra contro la giornalista russa, collega di Anna Politkovskaya e di tanti altri giornalisti uccisi dal Cremlino, perché aveva osato fare una domanda irriguardosa a Putin. Per non parlare della ripugnante sceneggiata di Villa Pamphilii concessa a Gheddafi, alle sue amazzoni, ai cavalli e alle tende beduine. Eppure, Berlusconi è stato soprattutto il leader che ha accolto Bill Clinton, che ha ospitato con tanto di bandana Tony Blair, che ha parlato al Congresso americano come il nuovo De Gasperi. Solo su Trump, Berlusconi non si è mai contraddetto, prendendo subito le distanze dal Cialtrone in Chief, probabilmente spazientito dai paragoni poco lusinghieri tra la sua epopea e quella dell’immobiliarista tamarro diventato presidente degli Stati Uniti. Agli amici americani che ridacchiavano su Berlusconi al potere, e poi si sono ritrovati con Trump alla Casa Bianca, ho sempre ricordato che Berlusconi ha governato l’Italia per vent’anni, ha vinto e perso le elezioni senza nessun contraccolpo politico e sociale, lasciando l’Italia sempre al suo posto, senza sciamani e proud boys pronti a menare le mani e a sovvertire i processi democratici: avrebbero potuto dire la stessa cosa, loro, se Trump fosse stato rieletto per un secondo mandato? L’Italia era il paese che Berlusconi amava e un terzo degli italiani l’hanno ricambiato. L’omaggio all’uomo che ha dominato la scena per trent’anni è stato pieno di commozione ma alquanto privo di ardore politico. In piazza Duomo si è chiusa una stagione politica e al di là dei “desii” di qualche nuovo o meglio nuova leader …non se ne aprirà nessun’altra simile. Alla fine, sono stati, e per fortuna, funerali per nulla berlusconiani. L’omaggio all’uomo ha dominato, certo. Nessuna grandiosità, zero politica, fatti salvi i coretti fuori tempo «chi non salta comunista è»: tutto sommato ieri piazza del Duomo è apparsa milanista più che forzista. Commozione, parecchia. In piazza, nel Duomo. Un addio a Silvio Berlusconi fatto di sguardi, parole sussurrate, canti gregoriani, esattamente come deve essere l’ultimo addio, e la famiglia – anzi, le famiglie –, il mondo di Mediaset, ministri e sottosegretari, stranamente pochi stranieri, il che è un po’ amaro: ma Silvio non aveva tanti amici nel mondo? Begli amici. Ecco poi Sergio Mattarella, sempre dignitosissimo, che con la sua presenza centrale e riservata ha dato il segnale che la guerra dei trent’anni è finita con questa specie di Westfalia milanese. Una fase si è chiusa e non se ne apre nessun’altra simile a quella. Berlusconiani e antiberlusconiani ora impugneranno altre bandiere e vestiranno nuove armature che l’uomo di Arcore, il bau bau oppure l’Unto del Signore, non è più tra noi e quindi siamo tutti ex antiberlusconiani ed ex berlusconiani. Una Milano assolata ha dunque salutato il suo cittadino più famoso e lo ha fatto com’è lei, composta, civile, umana. Il più bel teatro del mondo era a pochi metri ed è stato giusto e non casuale che il sipario calasse su un pezzo di storia italiana proprio lì vicino. In quella bara non enorme di legno di Honduras che – hanno detto – serviva per le chitarre di Jimi Hendrix (ma tu guarda certi meandri della Storia come vanno ad intrecciarsi) oltre all’uomo c’erano trenta inverni, parafrasando Franco Fortini, ed è parso di cogliere sia in piazza che nel Duomo la consapevolezza della fine di un’epoca così lunga: quanti, in quella piazza, non erano nemmeno nati nel giorno della scesa in campo? Giorgia Meloni, che al tempo era una ragazzina, a un certo punto si è raccolta in meditazione come chi sappia di dover affrontare un giro di giostra più impervio perché la sua responsabilità verso l’ex popolo berlusconiano ora cresce. Si è rivisto Mario Draghi, serissimo, con accanto Paolo Gentiloni che rappresentava l’Unione europea. Chissà perché Ursula von der Leyen non è venuta, e nemmeno Roberta Metsola, in fondo sono nello stesso Partito popolare europeo. C’era, invisibile, Elly Schlein che ha fatto benissimo a essere presente, a differenza di quel maleducato di Giuseppe Conte, perché ci sono momenti nei quali la Sinistra c’è e poi si discute, e ieri era uno di quei momenti. Il cardinal Mario Delpini ha trovato le parole giuste: «In questo momento di congedo e di preghiera, che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia». Un uomo che lascia un’eredità materiale di cui qui non interessa, se la vedranno tra i familiari almeno ieri tutti apparsi sinceramente uniti, su quella politica volteggia un grande punto interrogativo: a occhio e croce per ora non succederà assolutamente nulla. Dopo le Europee si vedrà: è questo (non certo invisibile) il tacito patto. Di certo si è fermata una certa idea della politica spericolata, indomita, un lungo dribbling tra le istituzioni e il popolo incedendo, cadendo, rialzandosi, schiaffeggiando le regole e subendo parecchio. Se ne continuerà a discutere, ed è molto improbabile che qualcuno cambi l’idea che del Cavaliere si è fatto in questi anni, per alcuni lo statista innovatore per altri il venditore corruttore di persone e di costumi. L’Italia ricomincia senza Silvio Berlusconi, in parte ci si era già abituata, ma non del tutto. E adesso chiedersi cosa succederà è inevitabile. Per ora …sipario.

E’ sempre tempo di Coaching! 

Se hai domande o riflessioni da fare ti invito a lasciare un commento a questo post: riceverai una risposta oppure prendi appuntamento per una  sessione di coaching gratuita

0

Aggiungi un commento