Politica: La legge di Archimede. L’inutile incontro tra governo e opposizioni sul salario minimo…

Lo sappiamo già. Il dialogo fissato a Palazzo Chigi sul salario minimo per oggi, con tutta probabilità fallirà sul nascere. Siamo già in campagna elettorale e nessuno cederà. La prossima si tornerà al voto. Passata ormai l’ultima tornata elettorale delle Regionali in Lazio e Lombardia (dove hanno vinto i due candidati di centrodestra), tra qualche mese riapriranno le urne. A deciderlo è stato il Consiglio dei ministri che ha fissato la data del primo turno delle prossime elezioni amministrative nei giorni del 14 e 15 maggio prossimi. I Comuni coinvolti saranno 591. Tra questi, ci saranno 13 capoluoghi di provincia: Ancona, Brescia, Brindisi, Imperia, Latina, Massa, Pisa, Siena, Sondrio, Teramo, Terni, Treviso, Vicenza. Il successivo eventuale turno di ballottaggio avrà luogo il 28 e 29 maggio. La consultazione sarà un ulteriore test per la maggioranza e per l’opposizione, soprattutto in vista delle prossime elezioni Europee che si terranno nel 2024 e che saranno un passaggio importante per gli equilibri politici del nostro Paese perché potrebbero certificare gli assetti esistenti o far emergere e consolidarsi nuovi equilibri. Con l’incontro di oggi, e il prevedibile “nulla di fatto”, Meloni potrà dire al suo elettorato che la colpa è dell’intransigenza di Pd e Movimento 5 stelle. E Schlein e Conte a loro volta se la prenderanno con la presidente del Consiglio… D’altronde gli ‘scommettitori seriali’ hanno subito puntato sul fallimento del vertice governo-opposizioni (Italia viva si è tenuta fuori da quella che alla fine potrebbe essere nonostante gli auspici raccontata solo come una sceneggiata agostana), il primo della legislatura, che si terrà, confesso a Palazzo Chigi. I segnali sono tutti negativi, da entrambe le parti, con l’esclusione di Carlo Calenda (sul quale, confesso, ho ormai, un dubbio feroce: è stupido o ingenuo… cos’è peggio?) che spera che si tratti dell’apertura di un confronto reale. Giorgia Meloni il suo beau geste l’ha fatto invitando gli avversari a pochi giorni da Ferragosto, ma al contempo disseminando un’ostentata contrarietà sulla proposta del salario minimo orario di nove euro lordi, un insistito non possumus che non lascia intravedere nulla di buono, talché i duri dell’opposizione (cioè tutti meno Calenda) hanno già fatto capire che nella migliore delle ipotesi sarà un incontro non di rottura totale. Ma se persino il mite Riccardo Magi (Più Europa) dice che forse è meglio giocarsela in Parlamento, dove la proposta Pd-Conte-Sinistra-Più Europa-Azione è depositata, vuol dire che i margini sono politicamente inesistenti. Più chiaro ancora il verde Angelo Bonelli: «Che ci andiamo a fare, se Meloni dice no?». Nel merito le distanze esistono, eccome. Ma tutti ricordiamo accordi politici e sindacali che partivano da premesse sostanziali lontanissime. Qui è chiaro che il problema è tutto politico. Mentre un accordo, o comunque un clima costruttivo, sarebbe nell’interesse di tutti i lavoratori che puntano a una legge che fissi un salario minimo, la sordità che si sta evidenziando nelle ultime ore da entrambe le parti rivela il doppio interesse politico di Meloni da una parte e Schlein-Conte dall’altra che è quello di scagliare il pallone in tribuna addossandone all’altro la colpa. Giochino vecchio come il cucco. La presidente del Consiglio potrà comunque dire al suo elettorato che ci ha provato (e in teoria forse continuerà a provarci) e che la responsabilità del fallimento è dei massimalisti di sinistra, i quali a loro volta faranno il discorso uguale e contrario, come nella legge di Archimede: è quello che Calenda definisce «lo schema degli opposti estremismi» che finisce con lo stritolare qualunque possibilità di intesa. Il discorso vale molto nel Pd (non parliamo poi di Giuseppe Conte e Fratoianni/Bonelli cui la parte di negoziatori proprio non si addice), dove Elly Schlein forse si è morsa le labbra per aver sposato la misura del governo sulla tassazione delle banche facendo la figura di una sinistra che si accoda alla destra, peraltro, su un provvedimento fatto in un modo demenziale. L’estate militante che, come è stato notato, non decolla non ha certo bisogno di questo inseguimento di Meloni alla ricerca di demagogia a buon mercato nel segno di Robin Hood dei poveri ma, al contrario, del massimo di scontro e anche per questo la raccolta delle firme a sostegno della proposta di legge sul salario minimo non è stata sospesa. Cosa insegnerebbe una rottura al primo tentativo di mediazione tra governo e opposizioni? Quello che hanno capito tutti, e cioè che siamo in realtà già entrati nella campagna elettorale più lunga della storia (un anno!) e che dunque ciascuno piazza i suoi carriarmatini sulla scacchiera come a Risiko e che si va verso un autunno estremamente complicato. Non è il tempo dei mediatori. Dopo tante chiacchiere tra i tanti partecipanti, una ventina circa, alla fine tanti saluti, arrivederci e buon Ferragosto. Tutto molto prevedibile, tutto già visto, già vissuto…

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