Politica: Povera Italia! Era un Paese già in grande difficoltà anche prima della pandemia… E, oggi, le proiezioni ci condannano ad un sempre più veloce declino…

…prima parte

“Vivere è diventato un esercizio burocratico”. “La situazione politica in Italia è grave, ma non è seria”. “Ho una tale sfiducia nel futuro che faccio solo progetti per il passato”. Citazioni del grande sceneggiatore ed elzevirista Ennio Flaiano… considerazioni fatte negli anni forse migliori per il nostro Paese dal dopoguerra in poi e che, quasi grottescamente, oggi, suonano più attuali che mai. Il quadro futuro del nostro Belpaese spinge sempre più a riponderare non solo la satira di Flaiano ma anche le riflessioni di Pier Paolo Pasolini sul progresso o gli ammonimenti (non gli atti) di Ted Kaczynski sulla tecnologia. Il mancato rinnovamento della classe dirigente pubblica, la secolare questione meridionale, il protrarsi di un capitalismo anomalo e prenditore, l’inseguimento di ideologie morte e sepolte, sono solo alcune delle crisi che lo Stato italiano attraversava già prima del Coronavirus. Crisi che vengono da lontano e che pagheremo sempre più a caro prezzo. Prima che la pandemia si abbattesse sull’Italia con il carico di lutti, di paura del diverso e di timori per il presente e per il futuro, era quindi già un Paese in declino che scivolava verso la marginalità sia in Europa che nel mondo. Non è più necessario ricorrere alla messe di dati che i vari e qualificati Istituti di Ricerca mettono ogni giorno a disposizione. La cronaca sempre più spietata ci restituisce una narrazione inequivocabile. Il Paese si è fatto trovare dal virus, inerme e arretrato e sta perdendo ulteriormente terreno perché ha permesso che in questi anni la distanza tra la propria società e quella della maggior parte dei Paesi occidentali con cui inevitabilmente è chiamato a misurarsi, diventasse incolmabile. I tanti appuntamenti a cui non ha saputo presentarsi, hanno generato un clima di sfiducia da cui i giovani che possono fuggono alla prima occasione, mentre gli anziani scuotono il capo rassegnati. Non si tratta soltanto dell’ormai piena consapevolezza di avere davanti prospettive di molto inferiori a quelle dei propri genitori o nonni, né della conclamata crisi di attendibilità che logore istituzioni si affannano quotidianamente a manifestare. Una grande malinconia caratterizza l’intero Paese, pur manifestandosi con modalità sociologiche e culturali specifiche nelle molte e diverse zone geografiche di una penisola troppo lunga. Nel nord si è esaurita da anni la spinta propulsiva che sosteneva il cuore produttivo di un’Italia della creatività, dell’invenzione, dell’originalità coniugate nel clima familiare della piccola e media impresa. Travolta dalla pressione fiscale cresciuta in modo esponenziale e oppressa dalla più vasta e costosa burocrazia del Pianeta, essa non ha potuto investire in ricerca e innovazione ed ha preferito de localizzare per sopravvivere, cercando altrove di ricostruire il proprio futuro, dove ancora era possibile rispondere ad una domanda di mercato attestata sui beni primari di un inedito consumismo. Nel Sud, ormai totalmente controllato dalle diverse seppur mutanti organizzazioni criminali, è lo Stato stesso che è comparso solo due volte: la prima come datore di lavoro pubblico, effimero riparatore della scelta miope di non far decollare lo sviluppo produttivo, la seconda come insieme di istituzioni sempre più impotenti dinanzi al dilagare del bisogno, della malattia, del degrado ambientale e sociale e, talvolta, contagiate dal medesimo. Il declino del Paese viene quindi da lontano perché si è radicato in almeno tre scelte che oggi paghiamo caro. La prima scelta è stata il progressivo allontanamento di quanto dall’Unione Europea perveniva, già in anni lontani, in tema di suggerimenti opportunità di conoscenze e metodologie, direttive non vincolanti che, però, avrebbero aiutato un progresso lento ma costante. Per l’Italia l’Europa è stata solo una risorsa economica da spendere nel clientelismo e nello spreco. Ne è un segnale evidente la potente barriera linguistica che vede solo una percentuale minima di abitanti conoscere altre lingue (intendo proprio conoscere e praticare … e non studiare a scuola per qualche anno). Si pensi al danno fatto dal doppiaggio cinematografico. Vedi la polemica di Favino al Festival di Venezia: “Perché Enzo Ferrari lo fa un attore americano?”. A Venezia Favino dà fuoco alle polemiche. La star italiana non ci sta a veder raccontata sul grande schermo una storia italiana da grandi produzioni americane e con volti, gesti e accenti stranieri così lontani dalla storia che narrano. Il doppiaggio quasi assente negli altri Paesi, dove al contrario proprio il mezzo televisivo o il cinema ha contribuito significativamente all’avvicinamento almeno all’inglese che oggi la maggior parte dei nati tra il 1960 e il 1990 comprende bene nei paesi scandinavi e sufficientemente in quelli dell’est europeo. Una seconda drammatica scelta è stata il mantenimento di un capitalismo familiare sovvenzionato dallo Stato, luogo della massima ambiguità economica, garantendone gli errori attraverso la cassaforte di Mediobanca e scaricandone le perdite sui piccoli risparmiatori. Un sistema di cui sono stati custodi gli gnomi della finanza nostrana a scuola dei quali molti sono poi andati non riuscendone però ad esserne all’altezza, per cui alla misteriosa riservatezza di Cuccia o alla palese contiguità con il crimine di Sindona, entrambi menti raffinatissime seppur diversamente orientate, si è sostituita la rapacità di Calvi, la grandeur di Geronzi prima e l’arroganza dei furbetti del quartierino dopo. Nel frattempo, il sistema bancario andava in frantumi con la legge Amato che avrebbe funzionato sicuramente altrove ma che in Italia, piuttosto che bonificare ove necessario, ha solo invitato a pranzo squali e piranha che hanno fatto a pezzi Istituzioni plurisecolari e inoculato nei risparmiatori il veleno della speculazione, con i disastri che conosciamo. Infine, hanno avuto risalto l’incapacità di porre un freno agli appetiti delle corporazioni (ordini professionali, università, fondazioni bancarie, taxisti e quant’altri) e la mancanza di onestà intellettuale con cui riconoscere che alcune follie ideologiche non potevano più essere prese in considerazione in un Paese che le aveva comunque realizzate, seppur attraverso un immenso debito pubblico. Ciò ha generato un’azione combinata che ha ulteriormente differito ogni presa di coscienza e accelerato il declino. Taccio sulle brevi parentesi dei governi di centro sinistra, pallidi ologrammi di valori mai creduti e meno che mai praticati da parte di molti, molti italiani. Governi comunque sicuramente impegnati, in ben due occasioni andate alla fine sprecate, in meritevoli tentativi di fermare una deriva economica e sociale, che ha impoverito ulteriormente in nostro Paese. Senza tuttavia poter nascondere via via la strutturale inadeguatezza del centrosinistra italiano (con le sue contraddizioni interne) a traghettare il Paese verso un reale cambiamento. Ora è giunto il tempo in cui l’intero circo sta venendo giù, non per gli applausi, quanto per il fragore con cui sono entrate in scena con il governo di destra due categorie di mattatori: i Castigamatti e i Prestigiatori. Alla prima appartengono coloro che trovano ogni volta un nemico da additare e verso cui convogliare la rabbia e la delusione della gente normale. Tra di essi si distinguono quanti propongono una visione del Paese come se l’Italia fosse l’Arcipelago delle Isole Lofoten o del Canale della Manica e non un significativo tassello di delicatissime dinamiche internazionali. Nella seconda categoria si affollano ‘fate ignoranti’ che, nonostante ciò, si ritengono portabandiera del rigore prima morale, poi giudiziario, poi economico e che probabilmente credono che Aristofane sia uno degli Aristogatti. Essi inseguono l’utopia contro cui proprio il commediografo greco ammoniva e stanno seminando nel paese il virus dell’assistenzialismo diretto, superando in ipocrisia quello storico e alimentando l’idea che il reddito (seppur non prodotto) comunque debba provenire da uno Stato che nazionalizza un po’ tutto, pagandolo con il denaro comunitario destinato agli investimenti. Sia chiaro che in questo Paese, c’è chi ha proposto il Dio Po e le danze celtiche, la produzione di massa e anche la decrescita felice, chi, ancora, spacciando le nuove tecnologie, come un indispensabile contribuito a cambiare il mondo e come un messianico strumento per rifondare la democrazia e chi infine sta dando il colpo finale al palo centrale del tendone da circo, riproponendosi quale Demiurgo che “salva l’Italia. Il solito Uomo/Donna forte al comando. Alla luce dei fatti, e dei numeri, non prevarranno probabilmente né i Castigamatti né i Prestigiatori, pallidi burattini che recitano copioni scritti da altri che vogliono che entrambi siano costretti a convivere, a mescolarsi, a ostacolarsi gli uni con gli altri, rendendo ancora più confusa ed incomprensibile la strada verso il futuro del nostro Paese. In ogni essere umano e in ogni società c’è un istinto sopito che, nei momenti di grande drammaticità si riscuote e permette di attingere a risorse che non si immaginava di avere. La chiamiamo resilienza ma è l’istinto di sopravvivenza, che noi ben riconosciamo ad esempio, sui volti dei migranti, che porta i singoli o i gruppi a ricercare altrove condizioni di vita migliore per sé e per la prole e le società a ribellarsi, talvolta in modo cruento e incontrollato, quando la misura è veramente colma, i figli piangono e gli anziani muoiono di abbandono, non perché siano dei barboni ma semplicemente perché non possono più permettersi di riscaldare quelle case, di cui, IMU a parte, sono paradossalmente “padroni”. Non è facile immaginare verso quale delle due strade si dirigerà l’istinto di sopravvivenza degli italiani, ma è sotto gli occhi di tutti che se la prima fosse già stata imboccata dai giovani più coraggiosi e non solo talentuosi e dalle imprese più avvedute, la seconda potrebbe rimanere l’ultima via d’uscita per chi, come un tempo si diceva “non ha da perdere altro se non le proprie catene” …

(continua)

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