Politica: La sinistra e la questione fondamentale dell’Europa. Progressisti in movimento. L’Italia, l’anello debole del riformismo…

parte prima…

Diamo ormai per scontato di essere già in campagna elettorale. Potrei limitarmi a sostenere che ciò sia dovuto alla trasformazione radicale dei partiti. Che sono diventate organizzazioni incapaci di fare ciò che dovrebbero – cioè governare – e abili esclusivamente a promettere, come avviene appunto in campagna elettorale. La campagna elettorale è diventata permanente proprio per coprire le mancanze strutturali dei partiti, non – come siamo soliti credere – il contrario. Si potrebbe in fondo sintetizzare così il primo anno di governo Meloni: hanno capito che l’unico modo per sopravvivere è prolungare senza più sosta la campagna elettorale… Del resto, non v’è dubbio che questo stato di cose serva anche a rafforzare il mutamento antropologico dei politici trasformati ormai in donne e uomini di spettacolo. Le campagne elettorali sono i reality della politica: non c’è nulla di televisivamente più appetibile di questi infiniti talk show in cui i politici vengono rimproverati ormai non per essere cattivi politici ma per essere pessimi comunicatori… Eppure, per ciò che riguarda le prossime elezioni europee, questa considerazione non è il dato più preoccupante, che è invece il fatto che in questa campagna elettorale ci occupiamo di tutto eccetto che di quella che dovrebbe essere la questione fondamentale. Come ogni volta, anche ora le elezioni europee sembrano diventare un pretesto per parlare di tutt’altro. In questo caso la cosa appare ancora più paradossale. Non soltanto perché il “tutt’altro” si mostra tristemente come un regolamento di conti all’interno dei singoli partiti, con in particolare una parte del Pd, che sembra dominato solo dall’intento di far perdere i propri antagonisti interni. Con un fiume di parole in un continuo: “bla bla bla bla bla”. Il classico “fuoco amico”.  Ma soprattutto perché mentre tutti guardano il dito, nessuno sembra più occuparsi della luna. Che nel caso delle elezioni europee è particolarmente luminosa: è la funzione politica dell’Europa ad essere messa in discussione. Tutto questo silenzio sarebbe anche giustificato, se potessimo almeno riconoscere che in questi anni l’Europa abbia ridimensionato il suo ruolo. Al contrario, a me pare che tale ruolo sia sempre più insostituibile quanto controverso. Perché le cose sono tornate a remare in senso contrario rispetto alle aspettative dei cittadini e dei popoli europei, dopo una breve parentesi in cui un avversario comune come il Covid, che non faceva differenza di nazioni e classi sociali, ha fatto sperare in una resipiscenza della classe dirigente europea, che sembrava addirittura ammettere i propri errori compiuti nel corso dell’indegna stagione dell’austerity. Se seguiamo le tre urgenze fondamentali che attraversano questo tempo ci accorgiamo quanto l’Europa stia tornando indietro. In primo luogo, è chiaro a tutti che la guerra in Ucraina – al di là di come la si pensi nello specifico – sia alla fine diventata un’occasione di subalternità al paradigma neo-atlantistico, piuttosto che segnare un modo per imporre un’unica voce autonoma e autorevole per ciò che concerne la politica estera. E, la medesima cosa succederà con la riapertura drammatica del conflitto tra Israele e la Palestina, provocato dall’assalto terroristico di Hamas, sostenuto dall’Iran che ha già provocato centinaia di vittime innocenti tra i civili di ambo le parti… ad Israele non è restato null’altro che difendersi dalla ferocia assassina scatenata da Hamas… c’è altresì il rischio che anche gli Hezbollah dal Libano amplino il conflitto. Ma le guerre nel mondo sono tante. In secondo luogo, in Europa l’unica cosa comune che si intravvede nelle politiche migratorie è la mistificazione che ne fa un pretesto per introdurre politiche repressive e nazionalistiche, in cui ogni paese ammette pubblicamente che una politica comune è possibile solo nei limiti e nelle forme ammesse dal principio di tutela degli interessi nazionali. Infine, le scelte economiche hanno subito una torsione evidente: tutti gli strumenti che hanno segnato tristemente la stagione dell’austerity sono di nuovo tra noi. Si torna a discutere con “rigore” dei vincoli del patto di stabilità, per i quali a quanto pare non si possono trattare deroghe per investimenti nella sanità o nell’istruzione, ma esclusivamente per le spese militari; l’utilizzo dei fondi del Pnrr sembra rispondere non alle urgenze sociali ma a obiettivi strategici fortemente concorrenziali, tornando così a rendere fondato il sospetto che quest’Europa somigli più al braccio istituzionale del neoliberismo che al sogno di Ventotene; la risposta della Bce all’inflazione galoppante sembra essere una ripetizione delle scellerate ricette dell’austerity, che hanno come conseguenza non la redistribuzione della ricchezza ma l’impoverimento dei già impoveriti. Lagarde rivendica la necessità di una «prudenza fiscale», che si otterrebbe «riducendo i sostegni contro il caro energia e gradualmente abbattendo i livelli elevati del debito pubblico». Ma che altro è questa prudenza fiscale se non l’austerity, l’unico spettro che si aggira ormai per l’Europa? Decisione che adesso non è solo sbagliata ma è anche colpevole, avendo avuto modo di osservarne non più di pochi anni fa le devastanti conseguenze sociali. Se questo è il quadro, si capisce perché la destra farà di tutto per non affrontare l’argomento dell’Europa alle prossime elezioni.  Perché quest’Europa qui, caratterizzata da scelte politiche scellerate, è evidentemente la migliore alleata dei nazionalismi e del neoliberismo… Ma proprio per questo non si capisce perché non lo affronti anche la Sinistra, che invece ha tutto l’interesse a porre la questione dell’Europa come la questione fondamentale. Dentro un’Europa che si limita a progettare il proprio futuro nei termini di un mercato comune dove far competere i singoli interessi nazionali e che ancora una volta finisce per appaltare la propria difesa al neo-atlantismo, la Sinistra sarà sempre più marginale. Negli incontri bilaterali si potrà anche mettere in difficoltà Giorgia Meloni, ma non si costruisce alcuna opposizione sociale e politica credibile e durevole. Non è Emmanuel Macron o chi per lui che ci salverà dal contagio della destra, ma l’Europa per ciò che dovrebbe essere e non è. Alla fine, al sottoscritto due cose sembrano chiare. La prima è che nessuna delle tre questioni poste prima si possa risolvere se non all’interno di una discussione politica che concerne la natura e il destino dell’Europa. La seconda è che questo destino deve tornare a essere oggetto sia di critica che di speranza. La trappola dell’Europa di Lagarde – che non può che essere criticata da una Sinistra credibile – non c’entra nulla con l’utopia dell’Europa di Ventotene – che è l’unica speranza che abbiamo a meno di non cedere alla tentazione nazionalistica. E se la Sinistra non torna a rivendicare l’una contro l’altra, continuerà a essere condannata all’irrilevanza, sprecando quest’ennesima occasione. Con rischio che sia anche l’ultima volta… Da Londra a Washington, da Montreal a Madrid, da Parigi a Firenze qualcosa si muove fra i partiti progressisti delle democrazie avanzate. A Londra i laburisti di Keir Starmer sono in testa ai sondaggi, in caso di elezioni nel 2024 potrebbero prevalere, ed a guidarli è l’intento di risollevare la crescita del Regno Unito – indebolita dall’errore della Brexit – puntando su creazione di posti di lavoro, giustizia sociale, transizione ecologica e sicurezza nazionale. Per questo David Lammy, ministro degli Esteri ombra dei laburisti, è appena stato a Washington collezionando incontri con i centri studi democratici e i più stretti collaboratori di Joe Biden che Will Marshall, presidente del Progressive Policy Institute, riassume così: “I partiti progressisti in più Paesi stanno tentando tutti di fare la stessa cosa, riconnettersi con i lavoratori”. E Rachel Reeves, cancelliere dello Scacchiere ombra dei laburisti, dopo aver incontrato il ministro del Tesoro Usa Janet Yellen, ha aggiunto: “Siamo in totale sintonia”. La convergenza fra Starmer e i democratici di Biden nasce dalla ricetta economica che distingue l’amministrazione Usa: sussidi interni e restrizioni al commercio per sostenere le manifatture nazionali; brusca riduzione della dipendenza dalla Cina; protezione dai cambiamenti climatici. Come ha recentemente riassunto Jack Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale Usa, “la globalizzazione è morta, bisogna restituire forza ai nostri modelli industriali” facendo leva anzitutto sulla “risposta ai cambiamenti climatici”. Di questo si è parlato al Global Progressive Action Summit che il premier canadese Justin Trudeau ha ospitato a Montreal accogliendo una dozzina di leader politici stranieri, dal collega norvegese Jonas Støre l’ex premier finlandese Sanna Marin fino all’ex premier neozelandese Jacinda Ardern. “Dobbiamo infondere ottimismo sulla possibilità di battere le diseguaglianze – ha detto Trudeau – con una ricetta di giustizia economia opposta a quella della destra populista che cavalca le paure”. “La strada da seguire è offrire opportunità a chi non ne ha” ha aggiunto il norvegese Støre. È proprio la ricerca di soluzioni capaci di portare sicurezza a chi vive nel disagio che distingue l’approccio dei socialisti spagnoli di Pedro Sanchez, in procinto di formare un nuovo esecutivo a Madrid dopo essere riusciti a respingere l’assalto elettorale dell’estrema destra di Vox. Nadia Calviño, ministro dell’Economia uscente a Madrid, ha in effetti puntato su garanzie per il lavoro, leggi per la casa, aumento del salario minimo e misure a favore delle famiglie con redditi bassi. “Sanchez è il leader progressista europeo che finora ha dimostrato maggiore successo nella sfida al disagio” osserva Anne Hidalgo, sindaca di Parigi, durante l’incontro fra le Città progressiste per un’Europa solidale che si è svolto a Firenze. “Le città possono essere il laboratorio della risposta al populismo – aggiunge Hidalgo – perché sono inclusive verso ogni residente e sono anche all’avanguardia sulla difesa del clima che è il tema più importante per le nuove generazioni”. Femke Halsema, sindaca di Amsterdam, rilancia: “Le città appartengono a tutti, sono l’antidoto naturale al populismo che aggredisce migranti e diversità”. È un linguaggio comune che vede il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, indicare la priorità nel “recupero delle periferie”, quello di Bologna, Matteo Lepore, guardare all’importanza di “istruzione e casa” e Dario Nardella, primo cittadino di Firenze, identificare in tali convergenze “un motore per rafforzare l’Ue” in vista delle elezioni del 2024. È un dialogo a più voci che include Ekrem Imamoglu, il sindaco di Istanbul che con 16 milioni di abitanti è la più grande città d’Europa, quando afferma che “bisogna recuperare il senso di comunità, facendo leva sulle risorse di chi ha per aiutare chi non ne ha”. Il tema è la sfida a quelle che Elly Schlein, segretaria del Pd, definisce le “nuove povertà”: dai lavoratori che non guadagnano abbastanza per vivere ai “poveri energetici” impossibilitati a difendersi dai cambiamenti climatici. Il forte consenso nel pubblico italiano alla proposta del salario minimo – avanzata dalle opposizioni – testimonia la validità di una formula che, dai laburisti britannici ai socialisti spagnoli, verte attorno alla necessità di declinare la giustizia economica nella vita quotidiana di milioni di cittadini delle democrazie avanzate. Tenendo sempre saldi l’adesione alla Nato ed il sostegno all’Ucraina aggredita dalla Russia di Putin perché si tratta di un conflitto che definisce la nostra generazione, in quanto ha in palio la difesa dell’architettura di sicurezza europea frutto della conclusione della Guerra Fredda. A conti fatti, sembra la genesi un grande laboratorio di idee progressiste che, in più Continenti, affronta la sfida delle diseguaglianze e dei cambiamenti climatici cercando soluzioni basate sulla costruzione di modelli industriali in grado di far leva sull’innovazione tecnologica al fine di creare efficaci protezioni per il lavoro nel XXI secolo. È una strada ancora lunga, tutta in salita, ma può trasformarsi nel terreno più efficace contro quei leader della destra populista che, da Trump ad Orbán, da Meloni a Le Pen, miete consensi cavalcando le paure ma non dispone di ricette economiche efficaci per battere le diseguaglianze. Questo è il motivo per cui Starmer sembra convinto che il 2024 può trasformarsi in un “momento progressista” facendo coincidere il ritorno dei laburisti a Downing Street e la conferma di Biden alla Casa Bianca con un voto per l’emiciclo di Strasburgo capace di fermare, con il decisivo contributo dei socialisti e verdi europei, l’assalto a Bruxelles da parte dei partiti dell’estrema destra populista…

(continua)

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