Politica: Europa, spettatrice silenziosa. Sempre più evidente il mancato ruolo dell’UE per la pace e la giustizia nel mondo. La via per un ritorno alla Pace…

È sempre più evidente che finora gli Stati europei non hanno fatto sentire il loro peso diplomatico nel conflitto israelo-palestinese. E invece dovrebbero proporre insieme soluzioni concrete alle Nazioni Unite per garantire la pace nel Medio Oriente e per interrompere il conflitto in Ucraina. L’azione perpetrata dalla organizzazione paramilitare di Hamas il 7 ottobre contro un raduno musicale (il Rave Party) di giovani israeliani nell’anniversario dello Yom Kippur e in corrispondenza della festa ebraica dello Simchat Torah, accompagnata dal lancio di centinaia di missili contro la popolazione civile dello Stato di Israele e dalla presa di ostaggi civili, non è stata né un atto né una dichiarazione di guerra nel senso che a esso veniva attribuito dal diritto internazionale ma il frutto dell’opera violenta e brutale di terroristi che si auto-proclamano rappresentanti dell’intero popolo palestinese. Nell’azione internazionale a sostegno della causa palestinese, di cui parlerò più avanti, vale la pena di sottolineare e di ricordare che il primo nemico di questa causa e dell’obiettivo di due popoli e di due Stati è proprio Hamas e i suoi complici in Libano, in Iran ma anche in alcuni Stati arabi come il Qatar. L’azione di Hamas – un atto di barbarie contro le regole della convivenza internazionale – si iscrive dall’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 in poi fra le azioni di violenza ingiustificata e ingiustificabile che una parte radicalizzata dell’Islam ha deciso di attuare contro i valori della dignità umana, del diritto alla vita e della libertà che sono propri non solo della civiltà occidentale ma di tutta la comunità internazionale così come sono stati definiti dalla Dichiarazione universale dei diritti fondamentali del 1948. Come sappiamo, quella dichiarazione aveva lo scopo di chiudere la fase storica aperta dal nazismo e dal fascismo e chiusa nel 1945 alla fine di un conflitto in cui non solo le dittature ma anche i regimi democratici avevano deciso di usare lo strumento del terrore bellico per prevalere gli uni sulle altre e le seconde sui primi come avvenne in Europa con i bombardamenti indiscriminati delle città e, da ultimo, con le carneficine nucleari a Hiroshima e Nagasaki. Lo scopo della Dichiarazione del 1948 non è stato mai compiutamente raggiunto perché basta ricordare le bombe al napalm inventate nel 1942 dallo scienziato statunitense Louis Fieser, sperimentate in Italia nel 1943-1944, poi a Berlino, quindi a Saint Malo, ancora a Tokio ma soprattutto dagli Stati Uniti contro i Viet-cong di cui tutti ricordano la foto della bambina coperta di ustioni e infine vietate dalle Nazioni Unite nel 1980. Negli ultimi quarant’anni le carneficine di civili non sono tuttavia terminate e sono stati usati tutti i mezzi di distruzione di massa come le cosiddette bombe a grappolo che fanno parte oggi della guerra in Ucraina. Di fronte all’azione brutale perpetrata dalla organizzazione paramilitare di Hamas lo sdegno della cosiddetta comunità internazionale a partire dalle inefficaci risoluzioni delle Nazioni Unite non basta perché quell’azione non si rivolge solo contro Israele ma più largamente contro l’idea della pacifica convivenza e perché Hamas e i suoi complici devono essere messi rapidamente in condizione di non nuocere aggiungendo alle operazioni militari di peace enforcement, peace building e peace keeping autorizzate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite una campagna di delegittimazione di Hamas fra la popolazione palestinese a Gaza, in Cisgiordania, in Medio Oriente e in tutto il mondo dove vivono comunità palestinesi. Poiché è necessario e urgente agire perché sia interrotta la lunga catena di sangue che ha continuato a provocare carneficine nel mondo, la svolta da imprimere in Medio Oriente dopo quel che è avvenuto il 7 ottobre deve essere esemplare e avere un radicale effetto deterrente in tutti i luoghi del mondo dove i valori della convivenza civile continuano a essere calpestati. Questa svolta deve essere impressa dalle Nazioni Unite che dispongono delle regole e “sulla Carta” (e cioè nella loro Carta), per imporla e il Segretario Generale Antonio Guterres dovrebbe anticipare il Vertice previsto nel settembre 2024 prima che i due rischi di escalation in Ucraina e in Medio Oriente conducano a un conflitto generalizzato e incontrollabile. Gli Stati membri dell’Unione europea, dovrebbero utilizzando proprio la possibilità prevista dall’articolo 34.2 del Trattato sull’Unione europea, dare mandato all’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica estera di presentare al Consiglio di sicurezza alcune proposte conformi agli articoli 21 e 22 del Trattato sull’Unione europea. In modo di offrire delle possibilità di pace in Medio Oriente, nonché l’interruzione del conflitto in Ucraina e altresì dare soluzione ai vari movimenti di popolazioni nel mondo… Lo Stato di Israele ha il diritto di operare nel rispetto del diritto internazionale per sconfiggere la minaccia terroristica di Hamas perché essa rappresenta un pericolo per l’intera comunità internazionale. La lotta ad Hamas e ai suoi complici deve però escludere il coinvolgimento della popolazione palestinese di Gaza così come azioni militari rivolte contro i civili che renderebbero ancora più drammatica la situazione di due milioni di persone che sono costrette da anni a vivere rinchiuse all’interno di un territorio di trecentosessanta chilometri quadrati le cui frontiere esterne sono controllate per la maggior parte dall’esercito israeliano. In coerenza con quanto dichiarato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, le legittime azioni di autotutela israeliane debbono essere svolte nel pieno rispetto del diritto internazionale evitando bombardamenti indiscriminati. Non devono essere adottate misure disumane come la sospensione della fornitura di luce e acqua e il blocco di ogni genere di prima necessità che colpiscono l’intera popolazione di Gaza. Il popolo palestinese non è Hamas! Deve essere avviata una tregua nei combattimenti e riaperto il tavolo delle trattative in conformità alle risoluzioni dell’Onu per la creazione di una autonoma entità statuale e territoriale palestinese nel rispetto dell’inviolabilità e della sicurezza dello Stato di Israele. Solo la concreta attuazione del progetto di due stati e di due popoli che vivano in pace e in sicurezza nel reciproco rispetto potrà portare pace, giustizia e stabilità nella regione mediorientale. A tal fine, la politica degli insediamenti e dell’occupazione della Cisgiordania attuata da Israele, che – sulla base delle risoluzioni dell’Assemblea delle Nazioni Unite e del Consiglio di Sicurezza – la Comunità internazionale considera un territorio riservato ai palestinesi che vi risiedono, deve cessare perché essa non può essere considerata un “territorio conteso” e deve essere restituita fiducia e sostegno a una Autorità Palestinese rinnovata e legittimata dal voto popolare, l’unica in grado di rappresentare il popolo della Palestinese rispettando e attuando le Risoluzioni dell’ONU 181 e 242 nonché degli accordi di Oslo che avevano tracciato il percorso per giungere a un’equilibrata soluzione nella Regione. Gli insediamenti illegali di coloni nei territori perseguita dai governi israeliani e in particolare da quelli guidati da Benjamin Netanyahu così come un’ambigua tolleranza di fazioni palestinesi radicali e islamiche contrarie all’idea dei due stati – impadronitesi della Striscia di Gaza dopo l’abbandono israeliano nel 2005 – allo scopo di indebolire l’Autorità Nazionale Palestinese hanno avuto come effetto quello di rafforzare Hamas con la conseguente vanificazione della soluzione dei due Stati. Riconoscendosi pienamente nella presa di posizione adottata dal Parlamento europeo il 19 ottobre 2023 l’Unione europea assume il ruolo di attore internazionale agendo per promuovere una incisiva azione diplomatica con gli altri attori che svolgono un ruolo in Medio Oriente al fine di porre fine al conflitto, assicurare il necessario aiuto umanitario alle popolazioni civili colpite da questi tragici avvenimenti anche aprendo la via di una protezione temporanea per chi fugge dalla guerra, assicurare la liberazione degli ostaggi, avviare un negoziato che conduca a una pace durevole tra il popolo israeliano e il popolo palestinese nel rispetto della legalità internazionale e dei diritti fondamentali dell’Uomo. L’Unione europea, confermando il pieno sostegno all’Ucraina nella difesa della sua libertà e del diritto alla inviolabilità del suo territorio insieme all’impegno alla ricostruzione del paese, dovrebbe iniziare a riflettere sulle ipotesi per un avvio di un dialogo indispensabile al raggiungimento di un “cessate il fuoco” e poi dell’inizio di un processo che porti a una pace duratura ai suoi confini essendo chiaro che la definizione delle condizioni per un accordo appartengono in primo luogo alle autorità dell’Ucraina e cioè al suo governo e al suo parlamento che sarà rinnovato nelle elezioni legislative che avranno luogo entro l’estate del 2024. Le ipotesi per l’avvio del dialogo dovrebbero essere basate sui seguenti elementi che potrebbero costituire un embrione di un “piano di pace” dell’Unione europea inserito nel quadro di una visione complessiva della cooperazione e della sicurezza sul continente che potrebbe assumere la forma di un accordo o di un trattato che si ispiri al metodo dei negoziati che condussero nel 1975 alla Dichiarazione di Helsinki e poi nel 1990 alla Carta di Parig. La garanzia della integrità territoriale e della inviolabilità delle frontiere dell’Ucraina definite in occasione della sua indipendenza nel 1991 alla caduta dell’Unione Sovietica; L’’attribuzione alle regioni di Donec’k, Luhans’k e della Crimea dell’autonomia secondo un modello federale e ispirandosi all’esempio degli accordi De Gasperi-Gruber applicati all’Alto Adige con l’Accordo di Parigi del 5 settembre 1946; L’adesione dell’Ucraina all’Unione europea al termine dei negoziati di adesione, sulla base delle condizioni stabilite dall’art. 49 del Trattato sull’Unione europea e nel quadro del processo di allargamento ai paesi candidati dei Balcani Occidentali e dell’Europa orientale (Moldavia e Georgia) che prevede: l’accettazione piena e integrale dei principi contenuti nel preambolo del Trattato di Lisbona ivi compreso il processo di una unione sempre più stretta, il rispetto dei valori definiti nell’art. 2 e dello Stato di diritto insieme al primato del diritto dell’Unione, il principio della cooperazione leale, l’adesione alla Carta dei diritti fondamentali e l’applicazione dell’art. 42.7 che stabilisce l’aiuto e l’assistenza degli Stati membri ad uno Stato oggetto di una aggressione armata sul suo territorio conformemente all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite; L’applicazione all’Ucraina delle stesse condizioni di neutralità adottate al tempo dell’adesione dell’Austria all’Unione europea nel 1995. In questo spirito e in questa logica la decisione di escludere l’adesione dell’Ucraina alla Organizzazione dell’Atlantico del Nord e alle sue strutture militari, la richiesta di convocare una Conferenza ispirata agli Accordi di Helsinki del 1975 e alla Carta di Parigi del 1990. Una Conferenza internazionale per un approccio olistico del governo dei movimenti di persone dovrebbe essere promossa durante la Presidenza belga dell’Unione europea ed a conclusione della quale dovrebbero essere adottati: una nuova Convenzione che sostituisca integralmente il Regolamento di Dublino e che superi l’attuale visione securitaria aprendo la via a politiche di ospitalità e di integrazione, un protocollo, da accludere al Trattato di Lisbona e in vista della sua più ampia revisione, che superi il capitolo 2 del titolo 5 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sulle politiche relative ai controlli delle frontiere, all’asilo e all’immigrazione, una proposta di bilancio rettificativo e suppletivo per creare uno strumento finanziario per il salvataggio in mare (European Sea Rescue o Mare Nostrum europeo) e per porre le basi di una Banca Euromediterranea per dare un impulso decisivo alla cooperazione economica dell’area e favorisca la cooperazione sub-regionale insieme a un Erasmus euromediterraneo, un mandato alla Commissione europea e all’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza per proporre al Consiglio e al Parlamento europeo un ampio piano di cooperazione allo sviluppo di tutto il continente africano al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dello sviluppo sostenibile sulla base di un partenariato pubblico-privato, un programma di educazione delle giovani generazioni europee e dei paesi terzi di provenienza dei migranti che integri e rafforzi le politiche di accoglienza e di ospitalità… Questa è il percorso per un ritorno alla via di Pace…

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