Politica: Meloni contro il Paese reale. Un Governo senza politica, propone solo una leadership fine a sé stessa. La destra vuole solo vendicarsi della Costituzione del 1948…

Nel video che ha divulgato in questi giorni, la premier (mostrando le foto dei suoi predecessori) ha detto esplicitamente che se nonostante i tanti cambiamenti esiste ancora instabilità, la causa va cercata a monte. Nella Costituzione Repubblicana. Giorgia Meloni ha rivelato così chiaramente il progetto della destra, quella che da settantacinque anni attende di vendicarsi della Costituzione del 1948. Nel video ha detto esplicitamente che la Costituzione antifascista è il problema. Meloni lo ha finalmente detto. Aggiungendo che è giunto il tempo di rottamarla, per introdurre quel che la democrazia parlamentare non può ammettere: maggioranze dalla durata medio-lunghe decise con assoluta certezza prima ancora che si formino in parlamento attraverso il voto. Maggioranze generate da una legge elettorale che assegna un premio generosissimo a chi vince anche con una manciata di pochi voti e che incorona il capo dell’Esecutivo. Una riedizione della legge Acerbo. Un tradimento della rappresentanza che lascerebbe il posto al conteggio arbitrario dei seggi della maggioranza: qui sta per Meloni la garanzia della stabilità, ottenuta con la sepoltura del sistema parlamentare, che prevede lo scioglimento anticipato delle camere. Una clausola di sicurezza e di controllo che vuole far sentire ogni maggioranza sempre e solo una maggioranza tra le altre e mai in totale comando. Ma per Meloni questa è instabilità; causata, ha detto, da un sistema politico basato sul pluralismo dei partiti; un pluralismo che lei concepisce al massimo in successione cronologica, come una maggioranza dopo l’altra che governi senza ostacoli; alla base di tutto, il comando del governo. Il modello politico della destra è una democrazia delegata nella quale i cittadini esprimono un “si/no” a un capo, e poi se ne vanno a casa, buoni buoni, attendendo altri cinque anni, prima di esprimere la loro voce sovrana. Tra un’elezione e l’altra un sistema addomesticato di informazione, il maltrattamento delle opinioni discordanti, un’opposizione parlamentare a malapena sopportata, e soprattutto impotente, ridotta a una condizione inerme, idealmente incapace a pensarsi come futura maggioranza. Meloni ha condito il suo discorso con una dose massiccia di antipartitismo. Eleggere il capo del governo per sganciare l’esecutivo dal potere dei partiti. Anche questa è una visione che collide con la democrazia, per la quale la relazione dell’esecutivo rispetto al sovrano popolare deve essere indiretta, generata dal parlamento nel quale si formano maggioranza e opposizione e si manifesta la rappresentanza dei cittadini. I partiti, scriveva Giovanni Sartori, sono connaturati alla libertà politica, per cui gli uni e l’altra vivono e decadono insieme. Non sono un orpello da sopportare, ma la forma della politica come intermediazione, opposta all’immediatezza, alla diretta espressione della volontà al potere. La requisitoria contro il governo parlamentare si sovrappone dunque a quella contro i partiti e la pratica del compromesso. Nel messaggio di Meloni si sintetizzano trent’anni di storia politica nazionale, che dal primo governo Berlusconi ha flirtato largamente con la retorica populista dell’antipartitismo. E la riforma vuole certificare proprio la disfatta dei partiti cercando una sistemazione costituzionale. La riforma è presentata come un puntello della nostra democrazia, mentre ne confonde i connotati principali: il voto degli elettori non forma il governo, ma fornisce gli elementi sui quali il capo dello Stato innesta la propria prerogativa. La riforma mira altresì a rimuovere la concorrenza alla guida del governo di personalità non elette, della cui maggiore affidabilità, competenza e apprezzamento internazionale abbiamo avuto disarmante prova in tempi recenti. E’ questa la vera, disperante disfatta della nostra politica. Ed è quasi come se i costituenti la avessero prevista , o meglio temuta. E che per aiutare la collettività avessero dato corpo alla figura di un garante costituzionale. Il Presidente della Repubblica appunto. Nell’insieme, inavvertito e inavvertibile da un elettorato che non conosce più i propri rappresentanti, e ne viene ricambiato, verifichiamo l’ossimoro di un sistema parlamentare che prescinde dal parlamento, espropriato della propria principale funzione dal Governo. Scriveva Delio Cantimori già nel 1928, in segno di apprezzamento delle idee di Carl Schmitt, che prima di entrare in parlamento occorre che si abbia «con assoluta sicurezza, il comando, la direzione», ovvero che il parlamento sia la sede della maggioranza. Un’idea antidemocratica che rivive oggi in questa destra radicale che si candida a forza costituente, per rottamare la casa edificata nel 1948 con la Carta costituzionale… Vediamo il dettaglio di questa “idea reazionaria”. Una prima considerazione riguarda proprio la legge elettorale. Quella in vigore è una legge che sacrifica la “rappresentatività” dei cittadini a favore di una “governabilità” fondata sull’accentramento del potere nelle mani di chi non ha il consenso reale della maggioranza dei cittadini, proprio attraverso un premio di maggioranza rilevante. Entrata in vigore a seguito, delle esperienze di governo detto delle “larghe intese” prima quello di Letta, dopo quello tecnico di Mario Monti, poi quello di Renzi. Fu proprio Ettore Rosato (un Renziano d’hoc) l’ideatore del Rosatellum l’attuale legge elettorale, che poi generò i governi Conte 1 e 2 con tutto il carico negativo delle loro contraddittorie coalizioni… e poi per evitare altri “guai” ecco il governo di pseudo Unità Nazionale di Draghi (il governo del Presidente della Repubblica) che replicava il precedente governo tecnico del ricordato Mario Monti. Entrambi questi governi furono insediati senza passare dalle urne. Dopo la caduta di Draghi, per le agitazioni identitarie dei cinque stelle e di Salvini, la destra dalla Meloni quella di Fratelli d’Italia che era rimasta l’unica all’opposizione di questa compagine governativa. In ragione di una supremazia identitaria sovranista e di una concezione populista della politica… È stata premiata poco più di un anno fa da un ampio consenso dato al partito di Fratelli d’Italia, mettendo la leadership della Meloni al centro di una coalizione di destra-centro con la Lega di Salvini alquanto ridimensionata nei numeri nonché i vetusti resti di Forza Italia. Partito da poco restato orfano del suo padre-padrone Silvio Berlusconi e lasciato di fatto in eredità ai figli che ne garantiscono la continuità economica. Oggi, abbiamo quindi un governo che sempre più chiaramente: “si fonda sulla noncuranza verso la volontà e i bisogni degli elettori, ma solo sulle convenienze dei leaders del momento e sulla loro sudditanza verso l’economia di mercato”. Nella realtà con ciò noi viviamo in un Paese senza una vera politica. Questa è l’Italia dei nostri giorni. Un governo che va sempre più spesso contro lo stesso Paese reale. Infatti, se politica vuol dire azione di buona amministrazione dello Stato e comporta la cura del bene comune, noi ne siamo totalmente privi. Quella rappresentata e raccontata dai media e dalla carta stampata che è insediata nei palazzi non è una politica, è un sistema chiuso di poteri narcisisti, nel senso che la principale attività di questi politici è rispecchiare solo sé stessi. Gli attori del sistema sono spesso individui e gruppi fuori dalla realtà, dediti solo alla coltivazione della propria centralità personale. Lo dimostra la pretesa di governare senza avere un progetto per il Paese e del suo futuro. Questo e il senso profondo della ‘noncuranza’ verso la volontà e i bisogni degli elettori, anche di quelli che li hanno votati, credendo alle promesse elettorali. Per governare le loro convenienze da pseudo leaders del momento e soprattutto di un’economia di parte al servizio dei mercati finanziari. Per il resto, di fronte a ogni problema e urgenza, si improvvisa: c’è sempre più bisogno di interrogarsi secondo quale visione, quali criteri, quali valori si vuole governare il Paese? Di fatto …nessuno. Per legittimare questa disattivazione della democrazia si invoca continuamente lo stato di emergenza, seminando a piene mani ataviche paure e conseguente divisione sociale. La situazione – si dice – è troppo grave per essere affrontata con governi tecnici che puntino alle “larghe intese” e tengano unita l’Italia perché sono e si sono dimostrati deboli, contraddittori, esposti al ricatto di ogni loro componente in quanto sostenuti da partiti che sono antagonisti tra loro. Occorre un governo espresso da forze omogenee ed eletto seppur a maggioranza relativa (con un premio di maggioranza) questo di fatto è il vero e solo progetto per l’Italia. E questo governo con la Premier Meloni in testa sì racconta come il solo capace di poter affrontare l’emergenza. Per questo occorre una riforma profonda della Costituzione con l’elezione diretta del Presidente del Consiglio (saremmo l’unico paese al mondo ad avere questo assetto istituzionale) che concentra nelle mani di un Premier praticamente un potere assoluto… Una riforma della Repubblica che, a oggi, metterebbe sotto ipoteca e per molto tempo l’intero futuro del Paese. Inaugurando una fase politica, senza sfumature e nessuna dialettica politica… ed eleggendo plebiscitariamente “l’uomo forte” (nello specifico sarebbe una “donna forte”). Quindi nessun reale ruolo per il Parlamento e ridimensionando anche quello del Presidente della Repubblica. Limitando altresì, le già scarse possibilità, che l’opposizione con in testa il Partito democratico (Pd) possa contribuire nell’agone politico ad una fattiva dialettica politica su cui misurare le possibili convergenze e le necessarie attività per la nascita di un progetto di cambiamento e ammodernamento strutturale del Paese, con una base di consenso popolare effettivamente ampio e maggioritario. Le riforme (soprattutto quelle costituzionali) vanno concepite e fatte tutti assieme… Invece, questo governo, sta distruggendo tutto ciò che è articolazione istituzionale ed equilibrio democratico e ogni rappresentanza sociale (vedasi lo sciopero generale dimezzato da Salvini attraverso la precettazione) mettendo così al centro della politica, solo il partito della leader, che è il partito di maggioranza della stessa coalizione con cui governa. Le riforme per la Meloni sono concepite come veri e propri colpi di mano istituzionali, che annullano ogni contrappeso ed equilibrio democratico dal governo del Paese. Tentando proprio nel mondo istituzionale tracciato dalla Costituzione del 1948, di cancellare ogni possibile controllo democratico e la possibilità di ruolo all’opposizione politica. Un modello ‘autocratico’ che veda sparire la Sinistra e abbia solo un piccolissimo partito di centro asservito e confermi tutto il potere nelle mani di questa Destra seppur minoritaria nel paese (vista altresì l’ampia area dell’astensionismo). Una destra antidemocratica, anzi, addirittura per molti aspetti reazionaria (vedasi i diritti individuali, l’immigrazione, i salari, ecc.). È in questo scenario soffocante la nostra democrazia istituzionale, la sua articolazione così com’è tracciata dalla Costituzione che emerge in Giorgia Meloni (come fu con Matteo Renzi a suo tempo con il referendum), una leader innamorata del potere e con un alto senso di rivalsa, teso a riaffermare un’identità politica (di origine fascista) che la storia aveva escluso proprio dalla scrittura della Carta costituzionale nel primo dopoguerra… e che la Meloni non ha mai abiurato, nemmeno oggi che sulla Costituzione ha giurato nel prendere l’incarico di Presidente del Consiglio e giurandovi fedeltà… Questa leader punta su una strategia che con un colpo solo vuole rianimare un’identità conservatrice (per non dire appunto reazionaria) obbligando ad una coesione istituzionale le altre forze dello stesso schieramento di destra… Altro che politica nuova. I Governi Berlusconi sono stati i primi artefici del disastro economico e sociale del Paese in questo ultimo ventennio. Berlusconi, la cui condanna definitiva per evasione fiscale appariva secondaria in confronto al complesso delle sue responsabilità, non solo è stato rilegittimato da questo governo quale interlocutore decisivo per cambiare la Costituzione, ma dopo la sua recente morte, è stato “santificato” come un padre nel suo ruolo di principale ‘sdoganatore’ della destra estremista e post-fascista, proprio mentre essa si era disarticolata ed era alla ricerca di un nuovo equilibrio. Dopo Fiuggi e il tempo di Fini e della Casa della Libertà. Il messaggio finale che trasmette è che la legalità è irrilevante e non c’entra nulla con la democrazia (vedasi la tolleranza dell’evasione fiscale e la politica dei condoni e l’incremento del deficit del bilancio pubblico). I danni di ciò sono incalcolabili. Anzitutto c’è la caduta della coscienza morale e politica di gran parte del Paese. Poi, a un elettorato disgustato, viene stato confermato che “tanto sono tutti uguali”. Inoltre, come già detto la legge elettorale in uso sacrifica la rappresentatività a favore di una governabilità senza aggettivi. Come se la rappresentatività fosse secondaria, come se fosse troppa e non troppo poca. In realtà essa è la fonte concreta, oltre che di principio, della facoltà di governare: quando i più si riconoscono nel governo, le sue azioni godono di una condizione vitale per essere efficaci. Il risultato è che ora c’è un governo ‘irreale’, con una legittimità democratica, di fatto minoritaria, a conti fatti i numeri di chi li ha votati e pari solo ad un quinto (20% o poco più) degli elettori totali. Quindi di fatto incapace di dare una risposta agli enormi problemi del Paese. Anzi, con queste premesse non potrà che aggravarli. In prospettiva, quando ci concederanno (forse) nuove elezioni, si vedrà che la democrazia sarà stata sconfitta. Questo Governo è semplicemente incapace di agire politicamente perché non ha radici etiche e culturali piantate nella nostra Carta costituzionale. Anzi addirittura ne mostra tutto il suo disprezzo. Mentre senza di essa non possono esserci né spina dorsale, né coesione, né progettualità e neanche leadership adeguate ai bisogni del Paese. La Destra fa il suo mestiere di ridurre la articolazione e i controlli democratici: per affermare una vittoria politica con un retroterra unificante che viene rappresentata con lo slogan “Dio Patria e Famiglia”, nella sua logica primitiva, risulta sicuramente chiara, ma è sicuramente asfittica e inadeguata quando non addirittura fuori da una realtà ampia articolata e complessa nella dimensione globale della rappresentanza politica che, oggi gli eventi ci mettono di fronte e che rendono il termine Nazione alquanto obsoleto e del tutto inattuale. Oggi il governo Meloni è un “pasticciaccio” pericoloso. Domani se passerà il “Premierato” teso a garantire e perpetrare una governabilità alla Destra, sarà il colpo di grazia alla democrazia italiana. Dunque, per quanto verrà dall’oligarchia al potere bisogna prepararsi al peggio. Però prepararsi è il contrario di rassegnarsi. Le iniziative di sviluppo della democrazia sui territori e ove possibile anche nelle istituzioni almeno in quelle locali, restano quanto mai indispensabili affinché il seme della buona politica, un giorno, possa rifiorire in Italia. E affinché tutti quei giovani che silenziosamente se ne stanno andando possano tornare…

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