Politica: l’aeroporto di Malpensa è stato ufficialmente intitolato a Silvio Berlusconi, un vuoto d’aria politico…

Aeroporto Internazionale Malpensa-Silvio Berlusconi: questa la nuova denominazione ufficiale. In una nota il Ministero delle Infrastrutture spiega che la Sea provvederà agli adempimenti di competenza connessi al cambio di nome. Il Vicepremier Salvini esprime «Grande soddisfazione». Insorgono le opposizioni. Raccolte decine di miglia di firme di cittadini Milanesi e Lombardi contrari a questa decisione. Adesso che succederà? Probabilmente finirà come finiscono sempre queste cose: l’Aeroporto Berlusconi, ex-Malpensa, diventerà un teatrino, un generatore di meme, il posto dove ci si fotografa davanti alla segnaletica con la bandana rossa, con le corna, col cartello Bunga Bunga Lives, e forse il Cavaliere ne sarà pure contento: scherzare gli è sempre piaciuto. E tuttavia chi ha immaginato il Berlusconi Airport (da ieri è ufficiale) come un tributo al «grande uomo, grande italiano, grande imprenditore» (Matteo Salvini), «il più noto al mondo» (Michaela Biancofiore), «autentico statista che ha dato lustro» (Tullio Ferrante), leader che ha segnato, il nostro patrimonio storico e politico nazionale e internazionale. Un uomo laborioso, capace di volare alto. Adesso, tutti gli altri forzisti, viste le reazioni di contestazione che vanno crescendo, dovrebbero ragionare sulla possibilità che l’omaggio al fondatore di Forza Italia diventi al meglio oggetto di pubblico sarcasmo, alla peggio occasione di vandalismo per writer improvvisati. Intitolare aeroporti internazionali ai capi è una specialità di importazione americana. Da Dwight Eisenhower a Bill Clinton ogni presidente ne ha avuto uno, non solo quelli morti in tragiche circostanze e diventati icone come John Kennedy ma pure quelli, diremmo noi, “divisivi” come Ronald Reagan (scalo di Houston) e George Bush padre (scalo di Washington). L’intestazione in molti casi è avvenuta quando erano ancora vivi anche se ormai fuori dalla politica. Uno solo è stato saltato, Richard Nixon. «understandably», comprensibilmente, dicono gli americani: persino in questa tradizione intitolatoria così consolidata gli scandali fanno la differenza e dividere il Paese è possibile, ma non consigliabile… Da noi la tradizione non esiste. Abbiamo una memoria più antica, le eccellenze extra-politiche non ci mancano. Gli aeroporti si dedicano ai grandi personaggi della storia, Papi, sommi registi e artisti e la sola eccezione è il Torino-Caselle che nel 1998 prese il nome dell’ex-Presidente della Repubblica Sandro Pertini (peraltro oggetto di contestazioni: anche di recente è stato proposto di rinominarlo Cavour). Siamo, giustamente, più prudenti, o meglio: lo eravamo prima che arrivasse Matteo Salvini al ministero dei Trasporti. È lui l’ostinato promotore del Silvio Berlusconi Airport, lui che si incorona «miglior amico di Silvio» e offre il petto alle critiche della sinistra dicendo nel sottotesto di ogni dichiarazione dedicata all’evento: solo io non l’ho dimenticato, solo io gli ho reso l’omaggio che merita, solo io combatto ancora per lui. L’effetto collaterale è riportare B. in una tempesta che bene o male era stata dimenticata. Come va ricordato? Come è giusto ricordarlo? Con i panegirici esagerati dei suoi beneficiati, con il disprezzo dei suoi vecchi nemici che annunciano ricorsi, manifestazioni, denunce, petizioni? Ogni ragionamento dovrà arrendersi all’incendio delle polemiche e ogni meme sarà un paletto nel cuore di chi immaginava di riconsegnare il Cavaliere alla nazione nella veste di grande liberale, lo statista di Onna, il coraggioso che tagliò la strada alla sinistra, il premier dell’ottimismo sviluppista. “Aeroporto di Firenze – Pietro Pacciani”, “Welcome to Chicago International Airport Al Capone”, “Verona Villafranca – Piero Maso”, “Papi vive”: i fotomontaggi irridenti sul web sono già tantissimi. Si moltiplicheranno insieme alle proteste. E il sedicente omaggio diventerà sberleffo e accanimento post-mortem, un tipo di fanghiglia in cui magari qualcuno sguazza volentieri ma che, insomma, ce n’era davvero bisogno? Non ne abbiamo già avuto abbastanza?

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