Politica: L’album di famiglia. Giorgia Meloni vorrebbe apparire come una leader conservatrice, ma non riesce più a nascondere la sua matrice reazionaria. Renzi, in corso l’avvicinamento dell’ex-premier al Nazareno. Pronto a rientrare nel Centrosinistra (forse anche nel Pd, senza però dare troppo nell’occhio). Il filo di Arianna e la teoria del Grande Complotto contro Meloni, il governo sull’orlo di una crisi di nervi…

La presidente del Consiglio sta mostrando fragilità e insicurezza, e sembra temere fortemente le conseguenze di una svolta politica a sinistra di Matteo Renzi. In più nella maggioranza, o peggio ancora anche nel suo cerchio magico, sembra che qualcuno stia remando mediaticamente contro di lei. Nonostante sia al governo da quasi due anni, la presidente del Consiglio non riesce a prendere una posizione chiara e univoca su nulla nemmeno sulla strage neofascista di Bologna. Le parole usate da Giorgia Meloni, in occasione dell’anniversario della strage di Bologna, segnalano ancora una volta il persistere di problemi irrisolti tra lei e il neofascismo. La presidente del Consiglio ha adoperato una stranissima circonlocuzione (identica a quella usata da Ignazio La Russa, dunque probabilmente concordata): «Il 2 agosto del 1980 il terrorismo, che le sentenze attribuiscono a esponenti di organizzazioni neofasciste, ha colpito con tutta la sua ferocia la Nazione». A parte il grottesco riferimento agli «esponenti» neofascisti (ma come, «esponenti» degli assassini?), cosa sottintende la frase «le sentenze attribuiscono a esponenti di organizzazioni neofasciste…» se non la larvata insinuazione che la verità giudiziaria è quella, ma chissà anche se quella storica. Che differenza con le lapidarie parole di Sergio Mattarella che ha parlato di una «spietata strategia eversiva neofascista»: la nitidezza del Presidente della Repubblica contro l’oscurità della Presidente del Consiglio. La questione che si ripropone è quella, come disse Rossana Rossanda a proposito delle Brigate rosse e del Partito comunista italiano, dell’album di famiglia o meglio di quella lunga stagione di rossi e neri che gli amici più grandi di Meloni hanno vissuto e che per loro è come la caverna di Platone dove non vedono altro «se non la propria ombra e le ombre delle cose proiettate sulla parete». Da quella caverna non riescono a uscire. Il vittimismo d’altronde è elemento costitutivo dell’impianto ideologico di Meloni, che altro non è se non il riflesso di un sintomo di un complesso d’inferiorità e di una marginalità avvertita come tale su un piano culturale prima ancora che politico, l’effetto inconsapevole e un tantino infantile (la parabola di Calimero) di chi avverte di avere consenso ma non egemonia, intesa come costruzione alta di un’idea generale di società. Di qui la tendenziale ambiguità, o non cristallina chiarezza, nel non chiamare le cose con il loro nome ricorrendo a giri di parole obliqui che tradiscono l’indisponibilità a strappare gli ultimi veli di un’appartenenza a una certa storia. Giorgia Meloni ce l’ha con mezzo mondo, e forse più. I suoi fanno paragoni assurdi con Silvio Berlusconi, che è stato realmente nel mirino di tanta gente per vent’anni: ma lui ebbe una resistenza psicofisica eccezionale, la presidente del Consiglio dopo solo due anni di governo si mostra fragile. La sua cerchia poi è fatta da gente di burro catapultata dall’oggi al domani dalle caverne del neofascismo ai palazzi nobiliari del governo. Guardate i Giovanni Donzelli, i Tommaso Foti, le Augusta Montaruli come reagiscono alle critiche. Osservate i ministri sempre sull’orlo di una crisi di nervi, da Guido Crosetto a Francesco Lollobrigida. In più Tajani: “Svegliamoci, il mondo è cambiato. Il Paese è maturo per lo Ius scholae”. Così Forza Italia, dopo la sollecitazione di Marina Berlusconi (sui diritti civili mi sento più vicino alla Sinistra) con l’apertura sullo Ius Scholae si apre una crepa nella coesione della maggioranza di governo. Ma c’è uno che in questa fase Giorgia Meloni sembra odii più di tutti. È Matteo Renzi. Sembrerebbe che degli altri dell’opposizione non le importa granché, a parte Elly Schlein che comunque vive come un’avversaria leale, e soprattutto battibile. Disprezza Giuseppe Conte, ignora l’estrema sinistra, Carlo Calenda non è mai stato al centro dei suoi pensieri. Con Renzi sembrerebbe diverso. Forse, ne teme l’abilità manovriera, di cui diffida. Forse pensa che è un politico a tutto tondo come lei, ma questo ne accentua la pericolosità… Renzi, proprio ieri sera a la7 nella trasmissione “In Onda”, alla domanda di Luca Telese sul perché di questo attrito con la Premier dovuto a un suo presunto complottismo nei confronti del ruolo della sorella Arianna, rispondeva così: “che da quando lui ha scelto di rientrare nel centrosinistra la presidente del Consiglio lo ha messo nel mirino perché le è venuta a mancare quella potenziale seppur limitata calamita di centro che avrebbe potuto sottrarre qualche voto al Partito democratico, quei voti forse determinanti per la destra per vincere sempre. Renzi avrebbe invece deciso improvvisamente di portare il suo “x” per cento al centrosinistra rendendolo teoricamente competitivo. Questa la vera e unica spiegazione plausibile”. I suoi avversari convengono coi suoi alleati su una cosa: Matteo Renzi ha tanti difetti, ma non quello dell’ambiguità. Da quando le sue valutazioni strategiche gli hanno suggerito un riavvicinamento al Pd, non si può dire che abbia sussurrato questa volontà. Dal famoso abbraccio con Elly Schlein nel corso della partita amichevole della nazionale dei parlamentari (rigorosamente in favore di telecamera), da parte dell’ex-premier c’è stato un crescendo di dichiarazioni a riguardo, che hanno avuto l’effetto – ampiamente cercato dal diretto interessato – di obbligare i suoi interlocutori a una risposta sul merito. È un fatto acclarato, d’altra parte, che il dibattito estivo sul fronte del Campo Largo e Lungo, sia stato e sia ancora monopolizzato dalla questione “Renzi sì, Renzi no”, laddove il veto più grande alla saldatura tra i dem e il leader di Italia viva, per un nuovo Centrosinistra, è quello posto da Giuseppe Conte, alle prese con una serie di problemi interni che il via libera all’alleanza con Renzi non farebbe altro che esasperare. Intanto: “Renzi torna alla Festa dell’Unità: “Il passato è passato. Costruiamo l’alternativa”. La regia di ciò è di Matteo Ricci ex sindaco di Pesaro e neo-europarlamentare. Per Meloni questo è stato un colpo basso. Non perché vi fossero stati precedenti accordi di un’intesa cordiale tra Italia viva e Fratelli d’Italia (Renzi stampella del governo, come si leggeva fino a ieri in pensosi articoli di quella sinistra giornalistica che raramente ci azzecca), ma perché il terzo polo – pensava Giorgia non senza qualche ragione visto come andarono le elezioni del 2022 – impediva al campo largo di competere seriamente per la vittoria. Per di più, Renzi ha accompagnato la sua svolta con un’intensificazione degli attacchi a Meloni fino a mettere proprio in difficoltà Arianna, la «sorella che fa nomine: Contro mia sorella Arianna mosse squallide e disperate. Se fosse vero, dimostrerebbe solo che stiamo smontando un sistema che tiene in ostaggio il Paese». L’ipotesi di un complotto contro la sorella, Giorgia Meloni l’aveva letta domenica mattina in un titolone de Il Giornale: «Vogliono indagare Arianna Meloni per traffico di influenze». E in un retroscena di due pagine del direttore, Alessandro Sallusti, che paventava un complotto ordito, con il «metodo descritto da Luca Palamara», dall’«asse politica-giornali di sinistra-procure». Di qui l’attacco di Alessandro Sallusti che ha cominciato a suonare il piffero del Grande Complotto, probabilmente concertando l’offensiva vittimistica con Ceglie Messapica, la Camp David di Meloni e dei suoi cari, o più congruamente la Ceppaloni della destra con Matteo Salvini a bordo piscina e umanità varia a prendere il sole. Non si può infine escludere che nella maggioranza ci sia chi stia remando contro la presidente del Consiglio o anche solo contro sua sorella: il ginepraio politico-familiare che si è venuto a creare all’ombra di Giorgia potrebbe aver generato un nido di vipere pronte a morderla. Forse il Grande Complotto sallustiano è un avvertimento a qualcuno della cerchia meloniana. Possibile che si scioglierà con le prossime ondate di calore restando nella mediocre propaganda di un’estate ancora più mediocre. O forse sarà stato il primo squillo di tromba che annuncia tempi torbidi. Lo vedremo solo vivendo…

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