Politica: La destra sempre più a destra. Renzi torna a Sinistra autonominandosi Centro di un nuovo campo largo a guida Pd per un vero e nuovo Centrosinistra. Schlein prova a togliere il veto su lui che benevolo sorride ai 5Stelle. Nella politica italiana nulla si chiarisce, ma sicuramente così rinasce lo strano bipolarismo italiano…

Dopo le ultime batoste elettorali, Matteo Renzi ha deciso di entrare nel cosiddetto campo largo. Ma la base di Pd e Cinque Stelle non gradisce il leader di Italia Viva. Che appare poco credibile e in parabola discendente…

Osservando le ultime mosse di Matteo Renzi, verrebbe da dire che l’estate gli ha portato consiglio. L’ex premier ha infatti rotto gli indugi e, viste le ultime batoste elettorali alle europee e alle amministrative fiorentine e gli infiniti ondeggiamenti ora a destra ora a sinistra, sembrerebbe aver deciso di ritornare nel cosiddetto campo largo. Il ragionamento alla base di questa sua scelta è stato più o meno il seguente: nel centrodestra non avrei alcuno spazio, visto che Forza Italia e i centristi sono ben strutturati e con molti più voti di me, mentre il vuoto al centro c’è nel centrosinistra, con Pd, Avs e grillini troppo schiacciati a sinistra; quindi, posso essere determinante per bilanciare e riequilibrare al centro il campo largo, dando vita a una sorta di riedizione della Margherita. A dire il vero, il ragionamento non è nuovo. Più o meno questo è sempre stato l’incipit alla base del renzismo. E in linea teorica si tratta della mossa del cavallo nel tentativo di continuare a dire che il campo largo senza di lui ha un’anima segnatamente di sinistra-sinistra e i cosiddetti moderati farebbero fatica a trovarvi spazio senza una “bandierina” che li tuteli e ne rappresenti le istanze. Orbene, questa mossa strategica arriva da un personaggio che in dieci anni è passato da quasi il 41% di voti alle europee del 2014 come segretario del Pd al 3,7%, in coalizione con altri partiti, del 2024, come leader di Italia Viva. Insomma, Italia Viva è alla fine una formazione politica del tutto ininfluente negli equilibri tra le due coalizioni. All’insegna del famoso detto che: “chi troppo vuole nulla stringe”. Anche su questo punto Renzi ha fatto una scommessa: una crisi del governo Meloni che acceleri la fine dell’attuale legislatura e porti ad elezioni anticipate nelle quali, in un sostanziale pareggio tra centrosinistra e centrodestra, il suo probabile milione di voti possa far pendere la bilancia in favore del centrosinistra. Peccato, però, che in quell’area politica siano in tanti a pensare che Renzi i voti, più che portarli, li faccia perdere e che dunque lui non possa essere affatto un salvatore, bensì lo sfasciacarrozze del nuovo campo largo. La sua straordinaria attitudine a comandare, anche senza avere i numeri, finisce per seminare zizzania tra gli alleati. E la sua elevata inaffidabilità, dimostrata negli anni, lo pone come un ostacolo alla coesione del centrosinistra anziché come una risorsa. Elly Schlein è disposta a dargli credito, in nome del superamento dei veti, ma altri (non pochi) del Pd sono scettici e sostengono che deve essere messo alla prova. Giuseppe Conte di certo non si fida perché fu proprio Renzi, con un’operazione di palazzo, a disarcionarlo da Palazzo Chigi per far posto a Mario Draghi. Con Carlo Calenda, dopo il naufragio dell’esperimento del Terzo Polo, volano gli stracci e quindi il leader di Azione ha già dichiarato che con Renzi nel campo largo lui non ci starebbe di sicuro. Infine, last but not least, un recentissimo sondaggio di Antonio Noto per Repubblica ha rivelato come la base dei due partiti maggiori del centrosinistra (Pd e M5s) gradisca molto molto poco il ritorno di Renzi e dello stesso Calenda come alleati. Soprattutto verso il primo l’ostracismo e la diffidenza sono fortissimi. Gli iscritti e i militanti, ma anche gli elettori del Centrosinistra si, insomma di questa parte politica, d’altronde come non capirli. Riascoltando le parole che Renzi e Calenda hanno pronunciato in questi ultimi tempi e confrontandole con quelle che i due avevano pronunciato solo negli ultimi anni, si potrebbe realizzare un film comico di sicuro successo: contraddizioni, giravolte, trasformismi, arrampicamenti sugli specchi, ipocrisie, siparietti imbarazzanti. Basti pensare alla più celebre delle esternazioni dell’allora segretario del Pd nel 2016: «Se perdo il referendum, non solo vado a casa e mi dimetto da Palazzo Chigi, ma smetto di far politica». Una dichiarazione fatta in Parlamento, il luogo sacro della rappresentanza popolare e ripetuta più volte in Tv durante la campagna elettorale per il referendum costituzionale da lui proposto e sonoramente bocciato dall’elettorato. Renzi fa ancora politica (oltre a fare il lobbista nei board di associazioni internazionali) e ha dunque offeso la dignità del Parlamento con quella solenne promessa non mantenuta e i comportamenti doppio-lavoristici. Il popolo l’ha capito e gli ha voltato le spalle, non votandolo più e riducendo ai minimi termini il suo consenso. Ma Renzi non è l’unica gatta da pelare a sinistra. Il Movimento 5 Stelle sta per esplodere, vista la guerra tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte e le dichiarazioni sorprendenti di Davide Casaleggio, figlio del fondatore del Movimento, che nei giorni scorsi ha definito Conte «un perdente che colleziona sconfitte» e, soprattutto, ha pronosticato la morte del Movimento, ritenendolo ormai inutile e avvitato su sé stesso e sulle macchinose regole interne. Anche qui ci sarebbe da ricordare a Casaleggio che soltanto qualche anno fa, quando i grillini erano entrati nella “stanza dei bottoni”, fu proprio lui a profetizzare la fine del Parlamento e il trionfo della democrazia elettronica, ovviamente targata cinque Stelle. Ma non è finita: Schlein può fare la candidata premier e tante grazie per aver ritirato il veto verso di lui che a sua volta non ne porrà”. Domanda: dunque è possibile un’alleanza tra Renzi, Schlein, Conte e gli altri? La risposta più semplice: “Non facciamola lunga: non solo è possibile ma è anche l’unica alternativa per evitare che ci teniamo per lustri Giorgia Meloni con sorelle, ex cognato e compagnia cantante”. Ma sarebbe veramente la semplificazione di una situazione complicatissima. Infatti, il “teorema” del leader di Italia Viva già ha creato un’onda d’urto sulla metà sinistra dell’emisfero politico, che rimbalza e colpisce anche il suo partitino. Arriva Renzi e fa aumentare la temperatura del centrosinistra. L’effetto di Matteo sulla gente si dice valga almeno 4 punti percentuali, (quanto basterebbe per vincere in 30 collegi, stima l’interessato). Il fiorentino – raccontano – ha due grandi consiglieri, due pontieri, come si usa dire, nelle file dei Dem. Sono Pier Ferdinando Casini e Francesco Boccia. Al primo ha confidato la delusione nel vedere che Meloni non diventava Merkel. Anzi, si radicalizzava a destra per non perdere terreno nei confronti di Salvini. Una prova di più che la premier ‘sente’ il voto vicino. Con Boccia ha messo a sistema una visione che parte da sud. È lì che si giocherà la partita decisiva per il governo, nell’elettorato, in gran parte orfano di Conte e dei M5s, che prima dovrà recarsi alle urne per raggiungere il quorum all’autonomia differenziata. E poi alle politiche dovrà dare quei numeri che mancano al pallottoliere di entrambi gli schieramenti. Se questo è lo schema pensato, paradossalmente è la sinistra, variamente intesa, a subire meno contraccolpi. I timori, invece, crescono a mano a mano che ci si avvicina all’epicentro. Parto da qui per alcune personali considerazioni. Carlo Calenda l’ha presa bene: “Ho iniziato la legislatura con Renzi che diceva di voler fare il partito dei liberaldemocratici, faceva votare La Russa nella prima sessione del Senato, poi si proclamava erede di Berlusconi, poi andava con la Bonino e, subito dopo le elezioni politiche, diceva che va bene con i 5 Stelle. Questo è il modo di fare politica di Matteo. È una persona intelligente e abile, ma se deve allearsi con i nazisti dell’Illinois o con i marxista-leninisti, lo fa senza alcun scrupolo”. Ma in Azione sono in tanti a mangiarsi le mani. Perché Schlein di veti verso il partito di Calenda non ne aveva mai posti, ma era stato Calenda in una sola settimana, dopo il voto delle europee, a passare dalla possibile alleanza su un’agenda di temi strategici al rifiuto sdegnato. “Un’accozzaglia populista e largamente filo putiniana con una spruzzata di ‘centrino’ opportunista non serve a nulla. Buona strada”. Anche Italia Viva non è un porto sereno. L’annuncio di Renzi rischia di far saltare i piani a Luigi Marattin che si preparava a presentare la sua candidatura al congresso (se Renzi decidesse di indirlo). “Ad un mese dalla sconfitta elettorale, nell’area di centro ci sono ancora persone che pensano che si possa far finta di niente e continuare come prima. Enrico Costa io e più di 6.000 persone (tra cui svariate centinaia di dirigenti e iscritti di Italia Viva e Azione) pensano invece che occorra riprendere subito l’iniziativa per costruire un unico partito liberal-democratico e riformatore, che metta fine una volta e per tutte alla stagione dei partiti personali”. A pensar bene, si può credere che in realtà Renzi, prepari un nuovo marchio, che superi anche Italia Viva. Una formazione allargata a personalità di area libdem che ricalchi quella che fu la Margherita. Lo fa in sua difesa e contro Marattin. Si è mosso tutto il quartier generale di Italia Viva. “Lo dico agli amici che stanno raccogliendo firme per un ‘nuovo terzo polo’: la soddisfazione di darsi ragione da soli non cambia le condizioni di vita del Paese. Gli elettori hanno detto che i tempi sono quelli della polarizzazione. A metà dell’elettorato italiano è chiaro che il governo Meloni è il nostro avversario. Noi stiamo in quella metà”, conferma Gennaro Migliore un altro degi italiani vivi. E a questo punto non stanno sereni neppure i ‘riformisti’ del Pd, che tuttavia restano alquanto cauti e vogliono prima andare a vedere di che si tratta. D’altronde: “Il Pd vince quando si dimostra un partito pluralista. Alle europee ha preso molti voti perché ha saputo tenere insieme candidati come Cecilia Strada e Giorgio Gori o Irene Tinagli, nonché Marco Tarquinio. Quindi per quel che mi riguarda: faccio gli auguri a Renzi, che finalmente ha capito che non c’è spazio per il terzismo in un quadro che resta bipolare e punta sempre più sul dualismo estremizzando ogni discussione possibile, ricorrendo all’occorrenza, ancora una volta come sempre, pur di dividersi, anche a quella sul “sesso degli angeli”. Ma sia chiara almeno una cosa: la nascita di un partito libdem, non può e deve far proseguire la confusione né meno che meno far cambiare identità al Pd, indicandolo come un partito solo di sinistra-sinistra. Basta esami del sangue per contare  le percentuali di globoli rossi e bianchi. Il Pd è da sempre un partito plurale inglobante anche posizioni centriste liberali. Basta però, continuare a voler confondere il liberalismo in economia con il neo-liberismo finanziario”. Tutto ciò sembrarebbe messo a verbale anche dall’area Bonaccini. In realtà, a parte il fastidio di non essere stati coinvolti, ai c.d. ‘riformisti dem’ non dispiace affatto l’ennesima operazione che Renzi sta mettendo a fuoco. Tuttavia, escludono a breve, che possa esercitare un’attrazione irresistibile verso esponenti legati alla leadership renziana ancora presenti al Nazareno. In fin dei conti, con l’attuale legge elettorale, le liste per le prossime candidature dipendono e continueranno (grazie proprio a Renzi e al Rosatellum) dalla Segretaria Schlein. Ora, visto questo scenario, complicato, pur se non vi è  dubbio che il centrodestra stia vivendo tensioni all’interno della coalizione, l’impressione che comunque se ne ricava è che per avere un Centrosinistra di governo costruito su un programma di difesa della democrazia e di vere riforme istituzionali, nonché su ricette economiche credibili e necessarie per una ripresa economica che chiuda definitivamente con una stagione recessiva disastrosa… bisognerà attendere ancora per un bel po’ di tempo. Quindi stiamo attenti alle corse in avanti e ancor peggio ai “colpi di sole”… ma lavoriamo a rinsaldare un’opposizione unitaria credibile e realmente coesa, per riportare, quando sarà, al voto una parte di coloro che stanchi del “gioco dell’oca” della politica, che ritorna sempre al punto di partenza, non votano più…

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