Prendo in prestito il titolo di un articolo pubblicato su Huffpost a firma Alessandro De Angelis. Per tentare di fare il punto della situazione dell’ormai conclamata crisi del Governo Conte 2, di cui paradossalmente attendiamo ancora l’ufficializzazione. Già perché la crisi c’è da alcune settimane, lo sappiamo tutti, ma di fatto non è ufficiale… se ricordo bene il termine in uso nella Prima Repubblica era crisi extraparlamentare. Già perché la crisi di governo può essere parlamentare o extraparlamentare. Si parla di crisi di governo parlamentare quando il Governo è colpito da una mozione di sfiducia da parte di una delle due Camere (art. 94, co. 5, Cost.), ovvero quando il nuovo Governo non riesce ad ottenere la fiducia iniziale da parte di queste (art. 94, co. 3, Cost.) o, infine, in caso di voto contrario da parte di una Camera quando il Governo abbia posto una questione di fiducia (art. 161, co. 4, reg. Senato; art. 116 reg. Camera). In tutti gli altri casi di dimissioni da parte del Governo, per il venir meno della maggioranza parlamentare, si parla di crisi di governo extraparlamentari. Generalmente, nel caso di una crisi di governo extraparlamentare, è prassi che il Presidente della Repubblica rinvii il Governo alle Camere, allo scopo di «parlamentarizzare» la crisi, ma è ben raro che la discussione parlamentare si concluda con un voto esplicito: nell’ambito della storia costituzionale repubblicana, infatti, tutte le crisi di governo sono state di tipo extraparlamentare, tranne quelle che hanno investito il Governo Prodi I nel 1998 e il Governo Prodi II nel 2008, determinate, rispettivamente, da un esplicito voto contrario da parte della maggioranza della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. A seguito di una crisi, il governo dimissionario resta in carica fino alla formazione di un nuovo Governo e solo per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione: la sua posizione giudica è simile, di conseguenza, a quella del Governo appena formatosi e in attesa della fiducia da parte delle Camere… Precisazioni necessarie per tentare di comprendere esattamente cosa sta succedendo nella maggioranza che regge il Conte 2. Una prima constatazione è che pur in crisi la maggioranza non vuole andare al voto anticipato… il rischio c’è, ma nessuno lo vuole realmente correre. In fondo, la parola “elezioni” non la nomina più nessuno. E’ per questo che sempre rispolverando i classici della Prima Repubblica, da quel momento la crisi è al buio. Di fatto lo è già, anche se per effetto della mancanza di una formalizzazione non viene ancora così considerata. Si dice che è in corso una verifica della maggioranza… ovvero una trattativa tra i partiti che la compongono per ripesarsi nella loro rappresentanza all’interno della medesima maggioranza… ovvero si pensa di poter andare ad un “rimpasto” nel governo… escludendo di fatto il voto anticipato. Scrive Massimo Franco sul Corriere: “La prospettiva di una crisi di governo aperta subito dopo l’Epifania ormai viene data quasi per scontata. Il «quasi» è d’obbligo. E non soltanto perché Matteo Renzi e Italia viva hanno mostrato anche in passato di riservarsi una via d’uscita secondaria. Ad avvolgere l’epilogo in un alone di incertezza sono le incognite che si proietterebbero sul futuro della legislatura. Tutti continuano a sostenere che non si andrà a elezioni anticipate; che un altro governo comunque nascerebbe. Ma l’azzardo è vistoso”. Infatti, l’ostacolo a un governo denominato ‘Conte ter’ è proprio il Premier in persona, che non si fida di Renzi e non intende dimettersi. Perché, a torto o ragione, il presidente del Consiglio non si fida di quella che ai bei tempi della Prima Repubblica si sarebbe chiamata “crisi pilotata”. Ovvero: i partiti raggiungono un accordo politico, il premier sale al Colle, si dimette, ma ha già, come si era soliti dire, una lista dei ministri in tasca. E dunque riceve il reincarico, si procede col giuramento, e si riparte. In questo film della crisi, che ricordo ancora non ha un atto fondativo (c’è ancora un Governo in carica sia pur con una forte tensione attorno). E che, come sempre, suscita la curiosità sulla scena finale anche se, in verità, la proiezione del film è ancora ai primi dieci minuti del primo tempo… Infatti, le modalità di questa crisi sono abbastanza fantasiose. Nel Palazzo c’è un fiorire di ipotesi e di smentite di ipotesi. Sono in campo ambizioni personali, auspici e disegni di improvvisati Machiavelli per cui, a un certo punto della giornata, dopo aver fatto varie congetture su quali ministri usciranno e su chi li sostituirà prendendone il posto, qualcuno fa sapere che quel ministro non ha alcuna intenzione di uscire né di spostarsi di ministero. Certo che tutto questo chiacchericcio, conferma che però è in corso la discussione sui posti nei vari ministeri. Insomma, è partito il valzer del Conte ter senza che nessuno abbia dichiarato aperte le danze. E non è un dettaglio di poco conto, anzi è il punto. Perché il premier si è detto, a parole e in privato, disponibile a discutere di tutto, anche un rimpasto sostanzioso e sostanziale ma senza dimettersi, nel terrore che, una volta salito al Colle, Renzi possa porre il veto per un suo reincarico e, a quel punto, inizierebbe un nuovo film. Orbene a che punto siamo veramente? Una delle possibili novità in caso di rimpasto potrebbe essere il ritorno di Maria Elena Boschi al governo, nel ruolo di Ministro dei Trasporti (sono sempre più forti le critiche dem a Paola De Micheli) o al Lavoro, al posto della M5S Nunzia Catalfo. La Boschi è spinta da Matteo Renzi, ma sarebbe gradita anche al premier Giuseppe Conte, con il quale ha un buon rapporto. Naturalmente per ora si tratta solo di voci, anche perché non è certo che si proceda subito a un rimpasto. Italia viva o meglio il suo capo Renzi potrebbe continuare a spingere per un passaggio al Quirinale, con un Conte che dà le dimissioni e riceve dopo le consultazioni un reincarico per un Conte ter e così il banco potrebbe ancora saltare. Sebbene il Quirinale sia il primo a confidare in una soluzione, non si nasconde il rischio che una volta caduto l’Esecutivo con le dimissioni di Giuseppe Conte sia difficile formarne un altro. Si avverte una sottovalutazione dei passaggi che si apriranno se il 7 gennaio Italia viva ritirerà la delegazione ministeriale. L’istinto di sopravvivenza del Parlamento potrebbe non bastare. Il M5S è una polveriera litigiosa e lacerata, che difficilmente appoggerebbe il premier di un altro partito: per quanto Conte sia inviso a molti grillini. Mentre nel Pd convivono strategie, oltre che tattiche, diverse. E dal centrodestra, diviso quanto si vuole, potrebbe rispuntare la spinta a chiedere il voto anticipato: anche se i segnali sono molto contraddittori. Né è prevedibile il ruolo che cercherà di ritagliarsi lo stesso Conte. La tentazione di guidare una sua lista, seppure ad alto rischio, rimane sullo sfondo. Conte ha sopravvalutato negli ultimi mesi la propria forza; e sottovalutato l’esigenza di condividere la gestione del Recovery Fund per la ripresa concesso dall’Europa. E’ stato mal consigliato, e forse convinto di essere insostituibile, non si è accorto di quanto gli equilibri della maggioranza si stessero modificando. Il risultato è che la cosiddetta «verifica» gli è arrivata addosso in modo improvviso. Così, invece di promuoverla, la sta subendo. E probabilmente è ormai troppo tardi per fermare la manovra di Renzi e dello stesso Pd contro Palazzo Chigi. che seppur con obiettivi diversi, una volta aperta è difficile fermarla. Ma nel frattempo i partiti avanzano ufficiosamente le loro proposte e muovono le pedine per portarsi avanti. L’ipotesi che Renzi voglia entrare nell’esecutivo a sentire lui non esiste: «Non farò il ministro», ha detto in tv a «Quarta Repubblica», anche perché si vocifera da tempo delle sue ambizioni internazionali (Segretario Generale della Nato). Si fa più forte l’ipotesi di Ettore Rosato alla Difesa, che potrebbe essere una casella utile anche come trampolino di lancio per Renzi alla Nato. Una delle due ministre renziane potrebbe cedere il passo. Teresa Bellanova è una fidatissima del leader di Italia viva, ma è anche parlamentare, a differenza della collega Elena Bonetti, Ministra per le Pari opportunità e la Famiglia. Il conto totale nell’esecutivo, due caselle, non cambierebbe per Italia viva. Così come non cambierebbe per i 5 Stelle. Renzi continua a ripetere che ci vorrebbe un vicepremier, per bilanciare Conte. Quello che è certo è che Luigi Di Maio non ha alcuna intenzione di spostarsi dalla Farnesina, a dispetto di voci che lo vogliono alla Difesa. Così come smentisce ogni ambizione di premiership l’ex segretario dei dem Dario Franceschini. Più complicata la posizione di altri membri della squadra dei 5 Stelle. La più a rischio è Nunzia Catalfo, ma non appaiono saldi anche il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, inciampato in molti infortuni e silenzi (come dopo le morti nelle carceri di Modena e Ascoli Piceno di marzo), che però è stato lo sponsor di Conte. A rischio è soprattutto Riccardo Fraccaro, che subisce pesanti critiche anche dentro M5S. Uno schema vedrebbe Stefano Patuanelli all’Interno e Boschi alle Infrastrutture. L’altra novità che potrebbe cambiare volto al governo è quella di un sottosegretario al Recovery plan. Materia incandescente, sulla quale Renzi ha chiesto modifiche e che rischia di essere il terreno più minato per il governo. In questo ruolo potrebbe andare Andrea Orlando, vice di Nicola Zingaretti. In casa Pd voci di un ruolo per l’ex segretario Maurizio Martina. Lorenzo Guerini, invece, potrebbe essere il prescelto da Conte nel caso il premier decidesse di lasciare la delega ai Servizi segreti, che gli è contestata sia da Italia viva sia dal Pd. Del resto, la legge pone un tetto a 65 per ministri e sottosegretari, quindi non ne potrebbe essere creato uno ad hoc senza un intervento legislativo. Altra ipotesi è che Guerini vada all’Interno al posto di Luciana Lamorgese. In quel caso, il Pd avrebbe un ministro in più, a scapito di un tecnico… Per farla breve, siamo punto e accapo, col non trascurabile dettaglio che un altro giorno è passato con i suoi morti, i suoi contagi, le sue difficoltà sui vaccini. Già perché mentre lor Signori, sono concentrati nel loro gioco degli scacchi, nel Paese reale il così detto “popolo sovrano” è colpito da una pandemia assassina, che ha mandato al Creatore 76.329 vittime da febbraio 2020 ad oggi. Che la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti stanno drenando un milione di potenziali disoccupati in più, che il debito pubblico a carico delle nuove generazioni ha raggiunto ormai il 160% del Pil e crescerà ulteriormente… che il piano per le vaccinazioni di massa è ancora al palo, che le Regioni che volevano tutto aperto “perché si può anche morire di fame e non solo di covid”. Oggi vogliono tutto chiuso e si oppongono alla riapertura delle scuole… insomma che la gente soffre anche per le loro incapacità e loro divisioni per i loro interessi personali e particolari. Una volta di più: Vergogna!!!
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