Politica: È ovvio il tentativo di Salvini, Alemanno e qualche altro di usare il generale Vannacci per prendersi uno spazio alla destra di Fratelli d’Italia. Così da tenere la premier sotto scacco. Meloni avrebbe bisogno di una Bolognina, ma non abbandonerà mai i neofascisti…

Come era evidente fin dal primo momento, il generale Vannacci è diventato in un batter d’occhio l’icona di una certa destra. L’iniziale isolamento in cui sembrava essersi confinato con le sue mani, testimoniato dall’immediata reazione del ministro Crosetto, è durato poco. L’ufficiale si è messo nella condizione di farsi strumentalizzare ed è quello che sta avvenendo… Ogni giorno abbiamo la dimostrazione di quanto la destra italiana sia piena di estremisti: la premier dovrebbe fare come Occhetto e cercare una “Svolta”, solo che non è disposta a rinunciare a quell’elettorato e a quei valori. Le polemiche interne a Fratelli d’Italia sul caso Vannacci ripropongono la questione della natura della destra italiana. Solidarizzare con un militare che dice «se pianto la matita che ho nel taschino nella giugulare del ceffo che mi aggredisce, ammazzandolo, perché dovrei rischiare di essere condannato?» e che i gay non sono «normali» è al di là del bene e del male: e ieri abbiamo capito che il problema riguarda a pieno titolo anche il leader della Lega e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, che si conferma un politico di destra. La solidarietà espressa da Salvini costituisce un salto di qualità nel governo. Approfondisce il solco con il responsabile della Difesa, che rispecchia il punto di vista dei vertici delle Forze Armate. Non a caso Crosetto ha avuto il sostegno del suo predecessore in via XX Settembre, vale a dire Guerini del Pd. Ora, finché era Alemanno, per non dire Forza Nuova, a condividere le idee di Vannacci, la questione era sotto controllo. Dopo la mossa di uno dei due vicepremier, l’insidia è sicuramente maggiore. Chissà se l’ex comandante della Folgore si rende conto d’essersi infilato in un gioco più grande di lui; o magari pensa di poter reggere lui il timone fino a provocare qualche scossone politico e ricavarne un vantaggio. In questo caso sarebbe più ingenuo che temerario. Su un punto potrebbe aver ragione. Sembra di capire che non sono pochi nell’ambiente militare, specie tra i quadri intermedi gli scontenti. L’organizzazione para-sindacale dei Carabinieri ha difeso la libertà di parola dei militari, che in base alla Costituzione non può essere limitata, fatte salve le ragioni di sicurezza. È la posizione liberale in cui si può leggere un modo legittimo e dignitoso per chiudere il caso senza ulteriori danni. Ed è facile intuire che sia questa la linea di una silenziosa Giorgia Meloni: ammettere un certo grado di libertà di pensiero anche nel mondo militare e chiuderla lì. Se invece si entra nella dimensione delle ripicche politiche, le incertezze aumentano. È ovvio il tentativo di Salvini, Alemanno e qualche altro di usare il caso Vannacci per scavarsi uno spazio alla destra di Fratelli d’Italia e così tenere la premier sotto scacco. Ma non è soltanto un’operazione volta a scoraggiare l’intesa cordiale tra Meloni e Ursula von der Leyen, o se si preferisce tra la leader del centrodestra e un certo establishment europeo. È una manovra più ambiziosa che ruota intorno alle prossime elezioni europee. Si voterà, come è noto, con il sistema proporzionale, a differenza del maggioritario italiano. Un’eventuale lista alla destra di FdI sarebbe un azzardo, ma con un minimo di credibilità potrebbe anche superare la soglia e guadagnare un 5 per cento approssimativo. Sarebbero tutti voti e seggi sottratti al partito di maggioranza relativa, appunto Fratelli d’Italia. Una variante sarebbe il deciso spostamento a destra di un Salvini che già ora non fa mistero della sua amicizia con Le Pen e i tedeschi di AfD. Salvini vuole togliersi dall’impiccio di essersi legato mani e piedi alla Premier. In questo caso, tuttavia, uno slittamento dei rapporti di potere all’interno della coalizione di governo (più debole FdI, relativamente più forte la Lega) avrebbe effetti negativi sulla stabilità del governo. Viceversa, una nuova lista di destra-destra estranea alla maggioranza colpirebbe solo Meloni, avviando o accelerando il suo logoramento. Forse non è un caso se giorni fa sono corse delle indiscrezioni circa la tentazione, affiorata in FdI, di provocare lo scioglimento delle Camere per unire le politiche e le europee. Il voto maggioritario aiuterebbe la presidente del Consiglio a uscire dagli affanni, laddove il voto proporzionale potrebbe indebolirla non poco. Ma lo scioglimento è un’ipotesi troppo rarefatta per essere presa in considerazione oggi. Vedremo verso la fine dell’anno, condividere almeno in parte l’attacco al “politicamente corretto” e al “pensiero unico”. Ora, per compiere un decisivo passo avanti sulla sua affidabilità democratica e di governo, Giorgia Meloni dovrebbe fare una vera “Bolognina della destra” ma non vuole e non può farla. Primo, per una ragione politica: non vuole perdere i neofascisti che ci sono nel suo partito e nel suo elettorato. Secondo, per una ragione personale: giacché non ha rotto e probabilmente non romperà mai con quelle pulsioni nere che sono per lei come la placenta per i feti. Ormai gli episodi inquietanti si moltiplicano ogni giorno. Da via Rasella alla sostituzione etnica al negazionismo sulla strage di Bologna e adesso al militarismo da caserma risulta evidente che la destra italiana è piena di fascisti. Non è nostalgia, sono proprio fascisti, o per meglio dire neofascisti. Con varie gradazioni, certo, ma quello è. Il parallelo con il Pci del 1989 regge in questo senso: la “Svolta” di Occhetto compiuta alla Bolognina e con i congressi successivi segnò un punto di chiarezza, fu la prova del nove per capire chi avesse davvero rotto con il comunismo, anche nella versione italiana, e chi no. Armando Cossutta, Pietro Ingrao e altri fecero la loro Rifondazione comunista nell’idea romantico-nostalgica che appunto il comunismo si potesse rifondare. Tutti gli altri, la stragrande maggioranza degli iscritti al Pci, seguirono Achille Occhetto, Giorgio Napolitano, Massimo D’Alema, Walter Veltroni nel Pds. Allo stesso modo oggi Meloni dovrebbe segnare un discrimine attraverso un’operazione di chiarificazione anche ideologica nonché di lettura della storia italiana. Chi non condividesse la “Svolta” meloniana avrebbe già pronta la sua Rifondazione neofascista guidata da Gianni Alemanno, il peggiore sindaco di Roma ma uomo dotato di un certo fiuto che ha capito che la “destra di governo” apre spazi a una destra-destra nel segno addirittura del Movimento sociale italiano. A occhio e croce gente come Giovanni Donzelli o Galeazzo Bignami o Marcello De Angelis, per fare i primi tre nomi che vengono in mente, sarebbero coerenti se lo seguissero. Ma non succederà perché non ci sarà alcuna rottura del monolite nero. Giorgia Meloni non romperà mai con i neo-neofascisti che concorrono attivamente alla sopravvivenza di quel brodo di cultura nel quale la presidente del Consiglio si crogiola come i bambini nella risacca del mare. Non essere più fascista senza essere antifascista è un esercizio difficile come camminare sul filo senza rete. E illudersi che basti la foglia di fico rappresentata da Guido Crosetto e qualche intellettualoide è un trucco che inganna i gonzi. Alla fine, la considerazione di fondo è che nella sua perdurante ambiguità, la premier sta andando indietro persino alla Fiuggi di Gianfranco Fini che chiuse il Movimento sociale per fare nascere Alleanza nazionale. Questo è possibile perché oggi si vede meglio la fragilità politica e culturale di Fiuggi, che in fondo, malgrado gli sforzi di Fini, si rivelò poco più che un’operazione cosmetica, tanto è vero che i colonnelli del partito si chiamavano Ignazio La Russa, Francesco Storace e appunto Gianni Alemanno, tre che sono rimasti abbondantemente “al di qua” del finismo (infatti non lo seguirono nell’avventura successiva di Futuro e libertà) – ed è verosimile che la giovane Giorgia vi abbia aderito più per l’aspetto tattico dell’operazione che per quello sostanziale. Fiuggi insomma non fu, come la Bolognina, un fatto irreversibile. Ecco perché oggi Giorgia Meloni sguazza nella brodaglia nera senza provare imbarazzo. L’importante è non perdere pezzi. Nemmeno prendere le distanze da “Minnie” Donzelli e gli altri nostalgici, meglio far finta di niente, tanto ci sarà sempre da qualche parte un Crosetto da esibire come volto del liberalismo conservatore per tranquillizzare platee dal palato fino che non sono mai salite a Colle Oppio o scese a Garbatella…

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