Politica: Ecco tutte le balle nel discorso al Parlamento della Meloni. Migranti, tassi, Mes, sfida all’Europa. Meloni comunque soddisfatta se vince o se perde. Alla fine, nessun risultato!

Il/la premier a Montecitorio: «L’Italia non diventi il campo profughi dell’Unione». Messaggio alla Bce: aumento tassi può fare più danni dell’inflazione. Mes: difendere interesse nazionale. Meloni così a Montecitorio per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo. La testa è già là, al Consiglio europeo. E alla partita vera, centrale, decisiva: l’immigrazione. Giorgia Meloni scandisce le parole: «Finalmente è stato riconosciuto che l’immigrazione è una sfida europea e richiede risposte europee. E se non si affronta a monte il tema è impossibile realizzare una politica di immigrazione giusta e efficace». L’aula di Montecitorio ascolta in silenzio le comunicazioni del premier. Nessun dubbio: «Ci vuole talento per mentire e la presidente della Consiglio Giorgia Meloni quel talento ce l’ha». Ecco, tutte le balle del discorso alla Camera della Meloni. Così la sua relazione, prima alla Camera e poi al Senato, in vista del Consiglio europeo è talmente facile da smontare in ogni sua parte che potrebbe farlo chiunque abbia ancora un minimo di memoria e di lucidità. La prima bugia ripetuta ossessivamente negli ultimi giorni si sbriciola anche togliendo l’audio. “La maggioranza è compatta”, ripetono da giorni gli esponenti di Fratelli d’Italia più vicini a Giorgia Meloni. Falso. Il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti mentre parla la premier è seduto tra i banchi della Lega e non a quelli del governo. I deputati leghisti sono immobili e silenziosi mentre Meloni parla del fondo salva-Stati e il vicesegretario della Lega Andrea Crippa ai giornalisti dice “ci dica lei cosa fare” riferendosi al Mes. Lei ovviamente è Giorgia Meloni. Se questa scena possa davvero trasmettere l’immagine di una compattezza di governo lo può decidere qualsiasi osservatore. Dice Meloni: “L’obiettivo è porre fine una volta per tutte alla stagione dell’austerità, pur senza venir meno a quella disciplina di bilancio sulla quale il governo italiano ha dimostrato serietà fin dalla manovra finanziaria, con buona pace dei gufi che preconizzavano catastrofi di ogni sorta”. Falso, eccome. L’austerità italiana non è colpa solo dei “falchi di Bruxelles”, come li chiama Meloni prima di diventare europeista in Europa sperando di risultare credibile come sovranista in Italia. L’austerità italiana porta la firma del suo governo. Lo certificano i tagli alla sanità che ieri perfino il ministro Schillaci ha riconosciuto, confessando che sarebbero almeno 3 miliardi che servirebbero per avere una sanità in grado di mantenere gli impegni con i cittadini. L’austerità che pesa nelle tasche degli italiani è il diritto per ogni cittadino a una vita minimamente decente che in Italia, dopo la demolizione del Reddito di cittadinanza, non esiste più. Per venire protetti dallo stato sarà necessario appartenere a una famiglia con un minore, un over-60 o una persona con disabilità: tutti gli altri l’austerità la sentono mentre gli stringe il collo. L’austerità la stanno vivendo le aziende edili che si ritrovano affossati da una riforma del Superbonus (anche in questo caso nient’altro che una demolizione) che sta rovinando le imprese e le famiglie che si sono fidate dello Stato. L’austerità la proveranno – ancor più violenta di ora – i giovani e meno giovani che porteranno addosso i segni del prossimo Decreto lavoro che apre ancora di più le porte alla precarizzazione in un Paese in cui si riesce a essere poveri anche avendo un impiego. Dice Giorgia Meloni che l’Italia non è “rimasta isolata in Europa” o caduta “nell’instabilità”, ma è più “solida e credibile che mai”. Sulla credibilità dell’Italia basterebbe citare la telefonata del presidente Usa Biden mentre la Russia traballava sotto la marcia di Prigožin. Biden nel suo primo giro di chiamate agli alleati ha contattato il premier inglese, il cancelliere tedesco, il presidente francese. La telefonata a Meloni è arrivata con ventiquattr’ore di ritardo, dopo il can can dei quotidiani e il lavoro delle diplomazie. Come fa notare la deputata dem Chiara Braga “dal Mes alla gestione dei flussi, dal Pnrr all’inflazione, Meloni non riesce a chiudere una partita, complice alleati europei imbarazzanti a Roma come a Bruxelles. Prigioniera del suo passato, dei no all’Europa, all’integrazione”. Si attende intanto il viaggio negli Usa annunciato un mese fa. A Parigi la credibilità è stata salvata dalla visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Se questa è autorevolezza? Dice Meloni: “La Cina è un interlocutore imprescindibile, ma il nostro rapporto vuole essere equilibrato”. Qualcuno potrebbe chiedersi cosa intenda per “equilibrato”, visto che era in Parlamento a spiegare le sue posizioni, non per descriverci i suoi auspici. E infatti nel suo stesso discorso dice anche che la Cina “è oggi un rivale sistemico che chiama l’Unione europea ad essere da una parte ferma nella difesa dei propri valori dall’altra pragmatica nel conseguimento dei propri interessi economici, e nel confronto sulle sfide globali”. La presidente del Consiglio prova a spiegarsi: “Dobbiamo – dice – pragmaticamente prendere atto oggi che quella cinese e quella europea sono economie per molti aspetti interdipendenti. Il rapporto economico dovrebbe evolvere verso standard e regole comuni. In questo contesto, se da un lato il disaccoppiamento non è una ipotesi percorribile, dall’altro lo è ridurre il rischio”. Ha ragione il leader del M5S quando fa notare che Meloni abbia parlato di Cina per qualche minuto del suo discorso ma in Aula non c’era nessuno che sapesse dirci chiaramente che posizione avrà l’Italia sulla via della seta. “In Consiglio europeo dirà che ci state ancora riflettendo sopra?”, chiede Conte. È la domanda che si pongono in molti. Questa è peggio di una bugia, non hanno nemmeno avuto la decenza di inventarne una. Per ora rimane solo l’esercizio dei poteri speciali golden power da parte del governo per proteggere Pirelli, contro la Cina. Dice Meloni: “Confermo l’impegno italiano per la pace nel Kosovo e per la stabilità di tutti i paesi dei Balcani a cui stiamo dedicando molte energie”. La stabilità in Kosovo sono gli undici italiani feriti negli scontri tra i militari della Kfor e i manifestanti. Pristina ha scelto il divieto dello svolgimento delle elezioni serbe sul territorio del Kosovo, che fino all’anno scorso si erano svolte con la facilitazione dell’Osce. Poi c’è stato il rifiuto di accettare la sentenza della Corte costituzionale sul punto dell’Accordo di Bruxelles relativo alla formazione dell’Associazione dei comuni del Kosovo settentrionale. Infine, il problema della preregistrazione delle targhe, che in precedenza era filato liscio, dato che l’operazione veniva svolta in coordinamento tra Pristina e Belgrado. Questa volta Kurti ha deciso di farlo unilateralmente, coinvolgendo la polizia per attuare la decisione. La stabilizzazione non sta procedendo benissimo, possiamo dire. Eccola l’altra bugia. “Non reputo utile all’Italia alimentare una polemica interna sul Mes – ha detto la presidente del Consiglio -. L’interesse dell’Italia è affrontare il negoziato sulla governance europea, dove si discuta nel complesso nel rispetto del nostro interesse nazionale. Prima ancora di una questione di merito c’è una questione di metodo su come si faccia a difendere l’interesse nazionale”. Due appunti: la polemica interna è tutta roba di Giorgia Meloni e i suoi alleati. E chissà che ne pensano a Bruxelles di leader di governo che non riesce nemmeno a tirare le fila nella sua maggioranza. Mentre Giorgia Meloni parlava di Mes i deputati di Fratelli d’Italia si sono levati in piedi tributandole una standing ovation, mentre i colleghi della Lega sono rimasti immobili. In merito al Meccanismo europeo di stabilità il vice di Salvini Andrea Crippa tiene a precisare che il parere della Lega “è lo stesso dell’anno scorso e due anni fa”. Dopodiché, sottolinea, “ci dica Meloni cosa fare”. La palla passa alla premier che “ha l’onore e l’onere di fare il presidente del Consiglio”, sottolinea Crippa che – ribadendo la “lealtà” della Lega – continua: “Esprimiamo una posizione, ma abbiamo la responsabilità di governare un Paese e vogliamo farlo per 5 anni. Meloni negli scorsi mesi ha detto le stesse cose di Salvini sul Mes, attendiamo una sua indicazione per procedere”. Come ci si poteva aspettare sull’immigrazione la presidente del Consiglio dà il peggio di sé. Nel suo discorso si infervora e parla di un Paese in cui “una volta venivano speronate le navi della Marina”. Falso. Il processo a Carola Rackete si è chiuso con un’assoluzione che scrive nero su bianco che lo speronamento sia un’invenzione di Meloni, Salvini e compagnia cantante. In compenso proprio ieri il Senato ha salvato il ministro Salvini dal processo che lo attendeva per aver diffamato la capitana di Sea Watch. A speronare le navi italiane (sparando) sono le motovedette della Guardia costiera libica che (anche) Giorgia Meloni continua a foraggiare. “Dalla Ue non accetteremo soldi che trasformino l’Italia nel campo profughi d’Europa”. Falso. L’Italia ha da poco sottoscritto un accordo per il quale se un altro Paese Ue non ci sta al ricollocamento basta che paghi 20.000 euro a migrante/rifugiato che resta nel Paese di prima accoglienza (l’Italia più di tutti). Meloni promette di difendere l’Italia da un accordo che si è accorta di avere sottoscritto. Incredibile. Appena sente nominare la guerra Meloni diventa più atlantista degli atlantisti che disprezzava. “Se non avessimo aiutato gli ucraini, come anche qualcuno in quest’Aula suggerisce – rivendica la presidente del Consiglio – ci troveremmo in un mondo in cui alla forza del diritto si sostituisce il diritto del più forte, un mondo senza regole se non quella delle armi”. Falso. In quell’Aula non c’è un solo esponente di un solo partito che abbia chiesto di “non aiutare gli ucraini”. Ci sono interpretazioni diverse su come dovrebbero essere aiutati: chi con le armi, chi con la diplomazia. Il Papa, ad esempio, non la pensa come Giorgia Meloni. Il Papa lavora per il “diritto del più forte”? Dai, su, un po’ di serietà… pur non credendoci in cuor suo… la Meloni di governo è una …grande ballista! Tant’è che l’ultima balla stratosferica, la Premier, la dice a proposito dell’esito dei lavori del Consiglio Ue: “sono molto soddisfatta dei risultati del Consiglio europeo sull’immigrazione…” Ci prende tutti per stupidi? Ma come? I titoli dei principali quotidiani italiani ed europei titolano pressappoco così: “L’Europa paralizzata da Polonia e Ungheria. Fallisce la mediazione di Meloni sui migranti”. A Bruxelles vertice della premier con Orban e Morawiecki ma il no ai ricollocamenti fa saltare l’intesa al Consiglio Ue. E lei dice: “Non sono delusa, fanno i loro interessi”.  Aggiungendo: “Ci ho provato ma è molto difficile che cambino idea”. La situazione del rapporto tra informazione e potere politico sta diventando insostenibile, al tempo di questa destra. Arrivando al vertice del Consiglio europeo, Meloni, che il giorno prima in Parlamento aveva attaccato tutto e tutti, opposizioni, Bce, Commissione europea, ha sfoderato il sorriso delle grandi occasioni, dicendosi soddisfatta di quanto contenuto nella bozza conclusiva del vertice per le politiche sui migranti. Uscendo il giorno successivo dal vertice, dopo che le parti relative ai migranti erano state però stralciate per l’opposizione di Polonia e Ungheria, Meloni, con l’identico sorriso del giorno precedente, si è detta lo stesso soddisfatta, anzi ha difeso le ragioni di chi si era opposto a quanto lei il giorno prima aveva rivendicato di avere ottenuto. Cos’é: propaganda, dissociazione dalla realtà, contraddizione evidente? Chi lo sa e chi lo saprà mai. Perché nessuno ha potuto chiederglielo, chiederlo direttamente a lei, a Meloni, il Presidente del Consiglio. Nessuno ha potuto chiederle se non ci fosse un conflitto nel suo voler difendere nello stesso tempo l’interesse nazionale dell’Italia, che lei rappresenta e quello del Partito Conservatore europeo che lei guida, al quale appartiene il leader polacco. E nessuno ha potuto chiederlo perché Meloni a Bruxelles ha fatto solo dichiarazioni alla stampa, non una conferenza stampa, come sarebbe stato il caso e come sarebbe pure dovuto, dove i giornalisti possono liberamente fare delle domande e ricevere, auspicabilmente, delle risposte. L’ultima volta che era accaduto, che Meloni aveva fatto una conferenza stampa, era stato mesi prima, a Cutro, dopo la strage, appunto, di migranti. Ed era stato un disastro, per Meloni, perché il suo bisogno di propaganda si era scontrato con le esigenze dell’informazione, che avevano ovviamente prevalso. Meglio non ripetere più l’esperienza, deve aver pensato Meloni, che da allora non ha più fatto conferenze stampa. Niente più rituale conferenza stampa dopo la riunione del Consiglio dei Ministri per illustrare i provvedimenti approvati, Meloni vi ha mandato i ministri più o meno competenti. E niente conferenze stampa dopo i vertici europei, Meloni la ha sostituite con punti stampa volanti dove parla solo lei.  Come già accennato: la situazione del rapporto tra informazione e potere politico sta diventando insostenibile. Sarebbe meglio, a questo punto, visto che è tempo di palinsesti televisivi, che qualcuno pensasse di tornare alle vecchie care Tribune politiche e che il capo del governo (e magari pure gli altri, leader e politici di turno) accettasse di sottoporsi ogni tanto, un po’ più spesso di una volta all’anno, alle domande di giornalisti non amici… Quindi, onori ed oneri di chi ha lavorato per diventare leader della Destra europea: alla fine è toccato a lei, Giorgia Meloni, sedersi al tavolo con gli amici sovranisti Mateusz Morawiecki e Viktor Orban e cercare di invitarli a far cadere il muro eretto davanti ai migranti che giungono dall’Africa. Venticinque minuti di colloquio nella stanza della rappresentanza italiana nell’Europa Palace. Con il mandato, da parte del presidente Charles Michel, di scongiurare il fallimento del Consiglio. Ma la fumata è stata nera: la premier italiana al termine dell’incontro ha informato Michel dello stallo della trattativa con Moraviecki e Orban e si è così dovuto cambiare il finale del vertice Ue. Senza il sì di Polonia e Ungheria l’unanimità richiesta è sfumata e sono saltate le conclusioni che già erano state scritte in bozza. Sostituite da una dichiarazione della presidenza del Consiglio europeo in cui si dà conto del dissenso dei due Paesi che sono fra i più stretti alleati dell’Italia… quante balle inutili,  racconta la Capa del nostro governo… imperativo mantenere il consenso nonostante le tante contraddizioni interne ed esterne al nostro  Paese… Lavoro dovuto a qualsiasi Premier, ma è sempre un lavoro di periodo… tutti i governi al di la della durata effettiva hanno una fine indicata dagli effettivi risultati… e non vorrei sembrare troppo ottimista… ma, mi pare, che il Governo Meloni per quel che erano state le pro/premesse per cercare i risultati che voleva raggiungere nella attuale legislatura, dopo solo 9 mesi… è già finito. Ma davvero la Meloni pensa che con questa ennesima figuraccia, fattale fare dai suoi amici polacchi e ungheresi, lei sarà l’artefice di quel nuovo patto di governo tra Conservatori e PPE alle prossime elezioni europee tra un anno? Francamente mi sembra una speranza vana. Sui migranti, il no a Meloni dei suoi amici sovranisti è quel che spezza il sogno di un governo europeo Ppe-Destra…

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