Politica: Francia, dopo il balottaggio, per il nuovo governo, c’è tanta ‘dubbia incertezza…’

Vi dirò con schiettezza, all’indomani dei risultati del ballottaggio francese, di non condividere tutta l’incertezza che detto risultato elettorale avrebbe sulla possibilità di dare alla Francia un governo stabile. Alla fine, sia Mélenchon che Macron, ognuno dei quali hanno immediatamente escluso di poter governare insieme, saranno costretti a trovare un compromesso, il primo se vorrà poter competere per la presidenza della Repubbliche, il secondo per non perdere la presidenza della Repubbliche, in anticipo rispetto al 2027. Infatti, sino alla sera del 7 luglio scorso, rispetto al primo turno del 30 giugno, i francesi (il 66,7% dei votanti aventi diritto) si aspettavano un nuovo governo di destra condotto dal pupillo di Marin Le Pen, il ventottenne Jordan Bardella, dato che il loro partito il Rassemblement National aveva in previsione di prendere addirittura la maggioranza dei deputati dell’Assemblee National (289). L’attesa c’era anche in Europa e direi nel Mondo (da una parte Putin e d’altra Biden e anche Trump). Così non è Stato. È arrivato un vero e proprio colpo di scena in Francia: mentre si scommetteva sui seggi mancanti a Marine Le Pen per la maggioranza assoluta è stata invece clamorosamente la gauche a trionfare, con il capo de La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon, a rivendicare il governo: “Siamo pronti, Macron riconosca la sconfitta, ha il dovere di chiamare il Nuovo Fronte Popolare a governare”. Emmanuel Macron e la sua maggioranza uscente che risultava sconfitto pesantemente dopo il primo turno del 30 giugno, non sono crollati, com’era stato previsto, ma arrivano addirittura secondi davanti all’estrema destra del Rassemblement National. La Le Pen, è la vera ed unica grande sconfitta di domenica scorsa, dopo il patto di desistenza siglato dagli altri partiti nei giorni scorsi contro di lei. Che cosa succederà ora in Francia? È vero che non c’è la possibilità di fare un nuovo governo? “E’ la prima volta che al secondo turno non esce una maggioranza assoluta, si parla di una vera e proprio crisi istituzionale”. Ma la domanda esatta è: “In Francia è possibile un esecutivo di coalizione, con l’Assemblea che diventa centrale a scapito del potere del Presidente della Repubblica?” Le votazioni dicono chiaramente che lo spazio politico in Francia è tripartito. Uno dei blocchi può ottenere la maggioranza assoluta solo se gli altri due blocchi glielo permettono. E oggi, appare in modo evidente che i centristi e la sinistra non l’hanno permesso al Rassemblement National che pur cresce nettamente raddoppiando i suoi seggi, ma che arriva molto, troppo lontano dalla maggioranza assoluta.» Si può dire che Macron ha in parte vinto la sua scommessa? «Una delle ragioni che Macron ha dato per spiegare la scelta della chiamata anticipata alle urne dei francesi all’indomani delle elezioni europee, era quello di provocare un “chiarimento indispensabile”. Nella logica politica del suo gesto c’era l’idea che il risultato delle Europee non creava un contesto sufficientemente chiaro per continuare con un governo di minoranza che tra l’altro si aspettava di passare difficilmente tra le forche caudine della Finanziaria in autunno. E quindi, andando verso le legislative, che tradizionalmente hanno una partecipazione più alta delle Europee, l’idea era di testare se il Rassemblement National fosse realmente maggioritario». L’assenza di maggioranza assoluta crea un assetto inedito nella storia della Quinta Repubblica. Il sistema di voto è pensato per creare maggioranze forti, ma per la seconda volta in due anni, il Parlamento non avrà una maggioranza chiara. Significa che l’Assemblea nazionale avrà una nuova centralità, probabilmente a discapito di Macron. Il passaggio delle nuove legislative rende ancora più evidente la crisi istituzionale francese. «Nella quinta Repubblica c’è stata a lungo un’alternanza possibile tra sinistra e destra, con il centro che fa l’ago della bilancia. Macron ha invertito questa logica, governando al centro. Come una “palla di demolizione” ha preso lo spazio del Partito Socialista nel 2017 e si è subito spostato a destra per prendere lo spazio gaullista. Ora che questo blocco centrale è indebolito, e sia la destra che la sinistra hanno estremi molto più forti dei partiti tradizionali, chi può fare l’alternanza?» È questa la trappola in cui si trova oggi la Francia. Se un governo di grande coalizione esclude gli estremi, il Rn ma anche la France Insoumise, si rilancia l’idea del centro “razionale” assediato che governa contro una parte del Parlamento». «Il fallimento di Le Pen è cominciato con l’operazione Ciotti. Si è dimostrata l’incapacità del Rn di essere percepito da altri attori politici come un partito con cui collaborare. L’ipotesi di un “coalizione Meloni,” ovvero di unione delle destre come in Italia, è svanita subito con lo sbarramento fatto dai Républicains e con lo sfondamento di Reconquête! Il Rn si è di nuovo scontrato con un limite rappresentato dalla stessa Marine Le Pen. Gli sforzi di costruire una nuova identità istituzionale non hanno funzionato. Resta la figlia di suo padre, una figura ai margini. In questo scenario, c’è l’enigma Bardella». «Le Pen se ne è servito come un proxy per parlare ad altri elettorati e alle élite che lo vedevano come facilmente manipolabile. Quest’operazione è andata a sbattere perché il Rassemblement national rimane la piccola impresa familiare dei Le Pen: una macchina perfetta per trasformare la collera in consenso, incapace però di costruire un’alternativa politica credibile per governare una potenza nucleare. Il giovane leader che già si vedeva premier a 28 anni è stato il viso e il motore di questa elezione, ma era un viso su una struttura inesistente. I candidati del Rassemblement national erano spesso di un livello improponibile: tra condannati per violenze, estremisti del complotto giudaico e persone in stato di incapacità di intendere o di volere. Il fronte repubblicano si è riattivato perché il Rassemblement national ha spaventato gli elettori». «Entriamo in una fase in cui ci sarà più parlamento e meno Eliseo, meno capacità del Presidente di controllare le sue truppe, con una probabile coabitazione interna tra lui e lo spazio centrale in via di ricomposizione. All’orizzonte c’è lo scenario Millerand, riferimento all’ex presidente Alexandre Millerand che esattamente cento anni fa fu costretto a dimettersi per l’ostracismo all’Assemblée Nationale. È uno scenario improbabile perché richiederebbe una censura sistematica di forze molto diverse (da Le Pen a Mélenchon con altri pezzi perché non sembra che assieme abbiano la maggioranza assoluta) ma l’Eliseo potrebbe trovarsi in un braccio di ferro con una parte del parlamento che crea uno stallo istituzionale che spinge il chiarimento aperto dalle legislative fino ad arrivare a una nuova presidenziale». «In meno di un mese, il Rn è diventato il primo partito francese in due elezioni molto diverse, europee e legislative. E per due volte si ritroverebbe ai margini del sistema. Si pone una questione democratica forte. Un governo tecnico, che abbia come unica matrice una risposta “razionale” ai problemi dei francesi rischia di peggiorare il contesto, mentre un governo politico che si dia come obiettivo una rifondazione repubblicana, su tematiche forti per il Rn, dall’accesso alla salute e ai servizi pubblici, al sistema elettorale, al potere d’acquisto, potrebbe essere il cantiere per ricostruire l’alternanza». «Macron finirà il suo secondo mandato nel 2027, ma fisiologicamente il suo peso già diminuisce. In Italia forse non è chiaro abbastanza quanto abbia governato a destra dopo essere eletto con una parte di voti a sinistra. Ha scelto di non costruirsi un vero partito che potesse essere una forza di mediazione, preferendo concentrare tutto sulla sua persona, con una plasticità impressionante. D’altra parte, Macron ha vinto la battaglia delle idee nello spazio politico francese. Bardella imita il Presidente della Repubblica. Il Rn non parla più di uscire dall’euro e usa definizioni macroniste come ‘sovranità europea’. Il macronismo può essere assimilato a quello che diceva Margaret Thatcher quando le hanno chiesto quale fosse la sua più grande vittoria. Aveva risposto: “il New Labour di Tony Blair”. In qualche modo anche Macron ha costretto i suoi avversari a pensare come lui, o almeno ad avvicinarsi delle sue posizioni» … la Francia quindi alla fine avrà un governo di coalizione di unità nazionale che taglierà fuori le due estreme… con un Presidente della Repubbliche che non potrà più fare quel che vuole, ma dovrà tenere in debito conto, della  nuova quanto inedita maggioranza parlamentare…

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