Politica: il fantasma fascista si risveglia, monta l’onda nera, emozioni, interessi e retorica, emerge tutta la “mediocrità del male” di questa destra estrema…

Pensavamo che il fascismo fosse ormai un guscio vuoto assolutamente non in grado di fare sue le idee di altri, soprattutto perché non compatibili con la sua storia. Non è così. Non sono nuove le incursioni del giornalismo d’inchiesta in quel mondo sommerso ma esuberante che è il popolo dell’estrema destra. Non stupisce quindi che in quelle anguste latitudini, ci si abbondi in compiaciuti riferimenti ai simboli e alla retorica del nazifascismo, almeno là dove l’autocensura si rilassa. Il mio dubbio, tuttavia, è se inchieste e denunce (encomiabili, s’intende), anziché innescare uno sdegno diffuso, non fungano piuttosto da cassa di risonanza. Oggi più che qualche decennio fa, il rischio a me pare purtroppo molto concreto. La cultura politica odierna, in effetti, non è puntellata da quelle risorse immunitarie che un tempo le derivavano dalle grandi contrapposizioni ideologiche. Nell’arena politica di oggi non si articolano posizioni sotto il segno di immagini contrapposte dell’esistenza collettiva. Ci si muove perlopiù sulla base di interessi puntiformi di gruppi puntiformi, più o meno organizzati, che avanzano rivendicazioni sotto forma di diritti. Viene così meno, l’idea che non si possa ritornare indietro nella Storia, che sia definitivamente finito quel periodo di tempo che ha caratterizzato, pur non senza contraddizioni e relative tensioni, una società più ordinata, più coesa e tesa a vivere in Pace, emersa dalle rovine del Secondo conflitto mondiale. Periodo che si pensava, purtroppo illusoriamente, definitivamente rafforzatosi all’indomani della caduta del muro di Berlino. Alla fine, quell’idea è andata via via sfumandosi e ha portato all’appannamento e all’abbandono dei vecchi riferimenti ideali, che ne erano alla base fossero essi di Sinistra, di Centro o più genericamente moderati rispetto alla Destra anche quella eversiva. Oggi, è inutile farsi illusioni. L’onda nera monta. Non dovunque, ma nei paesi centrali d’Europa sì. Italia, Francia e Germania, sia pure a livelli diversi e con sfumature diverse di nero, si stanno tingendo sempre più di colore. La Sinistra ha preso atto di questa tendenza e si attrezza a fatica per farvi fronte. In Germania la società civile democratica, già autonomamente mobilitata per reagire ai fantasmi del passato, è ulteriormente sollecitata da verdi e socialdemocratici. In Italia finalmente proprio in queste scadenze elettorali (europee e amministrative), le opposizioni vanno finalmente trovando momenti di convergenza, forse destinati a fruttare e a trasformarsi in prospettiva in una vera coalizione in vista di un’alternanza. In Francia la prospettiva di un successo del Rassemblement national ha fatto il miracolo di portare sotto le stesse insegne l’ex presidente socialista François Hollande e il demagogo dell’ultrasinistra Jean-Luc Mélenchon. Se la Sinistra sembra risvegliarsi, non così l’area moderata. Anzi, il mondo del capitalismo liberista, oscilla tra la sottovalutazione di una vittoria a valanga della estrema destra e la piena accettazione dei nuovi venuti da destra, un po’ discoli ma in fondo innocui, e soprattutto utili per tenere a bada il vero nemico, che per questi falsi centristi è per l’appunto sempre e solo la Sinistra. La storia, ovviamente, non si ripete, e vanno sempre tenute in conto le enormi differenze di contesto. Ma tutto questo ricorda l’atteggiamento, prima minimizzante e poi condiscendente, nei confronti del fascismo europeo da parte dei conservatori e dei liberali (in realtà liberisti) in Italia e in Germania. A fronte di quella galassia che andava da Benedetto Croce a Giuseppe Prezzolini, il giovane Piero Gobetti, insieme a pochi altri, avvertiva che si era di fronte a una rivoluzione che era una rivelazione di qualcosa di profondo della storia nazionale. Confermo che nulla si ripete. Tuttavia, insieme alla benevola attenzione di alcuni, circola oggi una incomprensione di fondo del fenomeno che si espande sotto i nostri occhi. In realtà assistiamo alla massima fortuna di una famiglia politica affiorata negli anni Ottanta alla destra dei conservatori in tanti paesi europei (Italia esclusa, perché aveva il Movimento sociale italiano a occupare quello spazio). In questi ultimi quarant’anni, sono arrivati alla ribalta movimenti e partiti che non agitavano tanto i vessilli del passato, ma piuttosto puntavano il dito su problemi reali, percepiti come importanti da alcune componenti della popolazione, e trascurati dalle élite al potere, qualunque fosse il loro colore. Si trattava, già allora, della coppia immigrazione-sicurezza. Un ‘evergreen’ della destra estrema, visto quanto risuona ancora oggi nella narrazione dei leader di quest’area politica. Quell’intreccio, in effetti reale e incontestabile, è servito a fornire un capro espiatorio sul quale indirizzare la rabbia dei tanti in difficoltà esistenziale. In fondo, i discorsi di Salvini trionfante o di Meloni di qualche anno fa sui respingimenti dei migranti, sui blocchi navali, sulle espulsioni a ciclo continuo per difendere il popolo italiano dalla aggressione dei nuovi venuti e preservare la nostra identità si ritrovano fin dal secolo scorso in Le Pen padre e in altri cantori di quel mondo. L’efficacia di questa litania xenofoba pone però un ulteriore interrogativo. Come mai gli interpreti di questa narrazione, dopo lunghi anni di emarginazione, hanno sfondato e coinvolto anche i moderati? Cosa c’era – e c’è – d’altro? Così come tra anni Ottanta e Novanta, oltre alle preoccupazioni per la sicurezza minacciata dagli immigrati, è venuta a galla una reazione all’affermazione dei diritti civili e alla liberalizzazione dei costumi del decennio precedente, e una domanda di difesa dell’identità nazionale e di una società ordinata e gerarchica (vannacciana, diremmo oggi), anche oggi affiorano preoccupazioni di lungo periodo fin qui inespresse. Tra le tante, la più potente riguarda la perdita del futuro. Terrorismo, crisi economica, pandemia, guerre hanno creato uno stato di tensione tale da aver portato molti a rivolgersi, nostalgicamente, al passato: perché il benessere e l’ascensione sociale sono ormai dei miraggi. Anzi, oggi, con più rabbia ancora, per chi aveva creduto nelle magnifiche sorti progressive della Storia. Ci si rifugia in quelle Forze politiche che indicano una prospettiva di cambiamento radicale, rivoluzionario quanto reazionario. Le componenti più “disturbate” dal mondo contemporaneo, che non si limitano ai cosiddetti ‘forgotten men’, ma ormai penetrano anche in altri ambiti sociali, sono entrate in sintonia con coloro che, in alternativa a tutto e a tutti, si professano custodi e portatori di un mondo sicuro e ordinato. La strategia della destra è di minimizzare le proprie capacità di male. La mediocrità dei propositi è tuttavia preoccupante, in primo luogo perché fa proseliti tra quell’area grigia che si autoproclama liberal-moderata e che pensa di avere la capacità di dare moderazione alla estrema destra, domandone le pretese autoritarie. Secondo loro la “‘mediocrità del male” ci salverebbe, insomma: questa destra è normalizzabile. Non è più “quella” che aveva pianificato il male, aperto le prigioni ai nemici politici e i campi di concentramento ai nemici etnici. Nulla di tutto questo. Oggi, la destra è blanda abbastanza, mediocre abbastanza, da poter essere governata, e i moderati di turno sarebbero in grado di farlo. In effetti, l’approssimazione, la piccola battaglia per la propria parte, la propria tasca, i propri amici o parenti, è capace di tanto male, pur all’ombra di un quasi male. In Europa, questa via alla normalizzazione della destra l’ha aperta, a suo tempo, niente meno che Angela Merkel, la quale, forse anche per ragioni di interessi economici tra il suo paese e quelli dell’Europa dell’est da poco emancipati dal comunismo, pensò che fosse saggio e possibile normalizzare gente come Viktor Orbán accogliendolo tra i popolari. Merkel pensava che una piccola virata a destra non avrebbe cambiato il percorso della Ue, anche perché c’era comunque una forte componente socialdemocratica. Oggi, quella strada viene lambita per la seconda volta da Ursula von der Layen, in una congiuntura che vede però i socialisti indeboliti e le destre scalpitanti a ovest della Mosella e a sud delle Alpi. E tuttavia vi è chi, sia in Francia che in Italia, scommette ancora sulla normalizzazione della destra (FI, Azione, Italia Viva) affidandosi alla “mediocrità” e sostenendo che: “non è più la destra cattiva e fascista di un tempo”. Eppure, è proprio questa “mediocrità” – di contenuti e di stili – che ci dovrebbe allarmare. Violenze giustificate come “disordini”; politiche antiabortiste che diventano silenzi e rieducazione delle donne delegata a gruppi antiabortisti; decisioni repressive ma praticate su minoranze (i rave, i mascalzoncelli che marinano la scuola, i facinorosi che vanno in piazza); assalto alle libertà di scelta sessuale, ma presentato come campagna per la difesa della famiglia “naturale”; politiche di diseguaglianza sociale, ma rese come richiamo alla responsabilità personale per cui ciascuno è causa della propria miseria; politiche di dissanguamento della sanità e della scuola pubbliche, ma con l’argomento a favore della pluralità dell’offerta. Il tutto come premessa della “mediocrità” massima: una riforma della Costituzione che sottomette il parlamento all’esecutivo, ma presentata come il “far scegliere” il Capo agli elettori. Plebiscito scambiato per voto elettorale. Quando invece, violenza e affarismo, gruppi di parentela e aggregazioni di interessi tra simili: la destra mette insieme un repertorio dei più mediocri ma creando di fatto le condizioni per fare “molto male” alle istituzioni democratiche. In un’ottica corpuscolare, più che corporativa, tassisti, balneari, partite Iva, minoranze sessuali, congregazioni religiose, assieme a gruppi di altra composizione, invocano riconoscimento, tutele, sostegni. In chiave di protezione delle libertà economiche e d’impresa, da una parte, e di tutela dei diritti civili, dall’altra, negli ultimi tre decenni destra e sinistra hanno parimenti favorito l’eclissi delle grandi visioni comuni. Oggi questo fascismo fantasmatico nostrano, spartano nel senso meno edificante del termine, sparge il suo ‘veleno’ proprio mentre (o forse proprio perché) si dimostra poco credibile: guasconate di ragazzi nati un cinquantennio dopo la caduta del fascismo, quindi per ciò stesso non fascisti. Eppure, braccia tese e grida in coro danno quell’inconsistente senso di appartenenza a un destino comune che tanto conforta chi è in debito di identità. Ieri come oggi, il fascismo fa quella spavalda promessa che mai poté mantenere perché irrealizzabile: conforto e solidarietà di un popolo che si arroga il diritto di pensarsi come eletto dalla storia. Nel panorama politico odierno, giovani e meno giovani si trovano proprio in questa condizione d’animo. È dunque il caso di abbandonare l’incantato convincimento per cui si nega ancora che il fascismo eserciti una notevole forza di attrazione su una fascia tutt’altro che ridotta della popolazione. Il fascismo, uscendo da una sorta di sonno non dissimile alla morte, è in attesa dell’opportuna congiunzione astrale, che lo ridesti in tutta la sua portentosa mostruosità…

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