Politica: il neoliberismo nel “cul de sac” di un’idea di modernità basata unicamente sull’azione individuale. Il neoliberismo ha cambiato la democrazia, sostituendo il cittadino con il consumatore e l’economia alla politica. Oggi è in profonda crisi e l’alternativa è reazionaria…

Parte seconda…

Tracciando un parallelismo tra scelta di mercato e urna elettorale, i neoliberisti hanno sostituito il cittadino con il consumatore, sostituendo l’economia alla politica. Un modello che ha colonizzato anche il linguaggio della Sinistra liberale. Dallo scoppio della crisi del 2008, il «neoliberismo» è stato attaccato da tutte le parti, incolpato per l’aumento delle diseguaglianze e per la crisi stessa. Tuttavia, resta un concetto vago, spesso usato a casaccio. È semplicemente un programma economico? Oppure ha l’ambizione politica, come spesso si sente dire, di liberarsi dello Stato a tutto vantaggio del mercato? E che rapporto ha con la democrazia? In due libri David Harvey traccia la storia del neoliberismo, evidenziandone obiettivi e contraddizioni. Io, interpreto il neoliberismo come l’ideologia dei vari processi economici in cui, dal periodo fra le due guerre in poi, gli auto-proclamatisi liberali hanno provato a rinnovare il liberalismo stesso, in quanto ideologia, che afferma di promuovere un ordine sociale basato sul libero mercato e la libertà individuale. In altre più semplici parole, il neoliberismo si è sforza di costruire un nuovo liberalismo. Molti dei pensatori neoliberisti che ho avuto modo di leggere: condividevano l’ambizione di ripensare il funzionamento dello Stato a favore del libero mercato e della libertà individuale. La nozione positiva di Stato – e di altre istituzioni politiche – come garante dell’ordine competitivo è cruciale per capire come questi pensatori neoliberisti abbiano tentato di distinguere il loro progetto dalla politica economica del cosiddetto liberismo classico. Infine, i suoi proponenti si riferiscono alla figura del ‘consumatore sovrano’ come a uno strumento per recuperare e rinnovare l’ideologia liberale. Permettetemi di sottolineare che io non intendo il consumatore sovrano come un individuo reale o un concetto fisso, ma come un concetto generale, un ventaglio di idee incentrate sul fatto che sia soprattutto la scelta del libero consumatore a definire l’economia di mercato. In verità, a questa figura sono stati assegnati diversi significati, e a seconda dei luoghi e dei tempi ha servito propositi differenti. Che cosa vuol dire che il consumatore è «sovrano»? È un modo per sostituire la sovranità statale con quella del consumatore? Si attribuisce al neoliberismo «un nuovo modello di sovranità» – che cosa s’intende? L’aspetto della sovranità è molto interessante. Il suo significato e la sua rilevanza devono essere compresi in relazione al contesto in cui il concetto è emerso. Erano infatti i primi anni Venti quando l’economista austriaco Ludwig von Mises concepì la nozione di «consumatore sovrano». Per difendere l’economia liberale, von Mises era costretto a rispondere a coloro che, come il giurista tedesco e filosofo politico Carl Schmitt, criticavano il liberalismo perché non aveva una fonte chiara su cui fondare il proprio ordine sociale; von Mises la trovò nella figura del consumatore sovrano, regalando all’ordine liberale un nuovo simbolo di autorità che spiegasse e giustificasse la particolare organizzazione politica del liberalismo. Questa fonte di autorità era apparentemente priva di restrizioni derivanti da norme e istituzioni politiche o religiose. Rispondeva ai desideri individuali e alla libertà formale delle leggi e dei mercati. E dato che, nel periodo tra le due guerre, le maggiori preoccupazioni dei neoliberisti erano il crescente potere e le tendenze autoritarie dello stato, il consumatore sovrano fu proposto per indebolire la sovranità statale. Anche Quinn Slobodian affronta la questione nel suo eccellente Globalists: The End of Empire and the Birth of Neoliberalism, nel quale illustra come i neoliberisti abbiano indirizzato i loro sforzi nel ricostruire il capitalismo su scala globale. Per usare le parole di Slobodian: “la sovranità del consumatore batte la sovranità nazionale”. Tutto sommato, il consumatore sovrano denota una società di mercato essenzialmente individualista, ma ben ordinata, efficiente, e democratica. In che senso questa nozione di consumatore si distanzia qualitativamente dalle definizioni precedenti? Il consumatore sovrano è sempre stato una figura chiave nel processo di legittimazione del progetto neoliberista. Virtualmente tutti i sostenitori dell’ideologia neoliberista da Ludwig von Mises a Milton Friedman, hanno rappresentato la scelta del libero consumatore come una caratteristica fondamentale dell’economia di mercato, e il consumatore sovrano come colui che è capace di determinare la produzione economica e dirigere l’attività politica. Tracciando un parallelismo tra la scelta di mercato e l’urna elettorale, i neoliberisti non solo dipingono i consumatori sovrani come attori decisivi del capitalismo e della democrazia liberale, ma descrivono il «voto quotidiano» del mercato come il reale motore della rappresentazione individuale e della partecipazione alla società. Scegliere tra «prodotti» disponibili diventa un approccio fondamentale dell’attività politica. Ora, si possono certamente individuare alcune idee anticipatrici negli economisti politici liberali, come Adam Smith o Jean-Baptiste Say, e in economisti marginali come William Jevons e Carl Menger. Tuttavia, la versione neoliberista si distanzia notevolmente dalle precedenti definizioni. La differenza fondamentale risiede nelle forti implicazioni morali e politiche collegate alla figura del consumatore, e ai modi in cui legittima l’ordine politico neoliberista. È per questo che considero il consumatore sovrano il protagonista del neoliberismo. Si spiega anche come questa figura sia stata usata per reinventare il mercato come luogo democratico par excellence – il sistema dei prezzi che diventa termometro di una sorta di «elezione permanente», per dirla con von Mises. Leggendo questa storia, è difficile non pensare a come il ragionamento di Wendy Brown sulla razionalità neoliberista esautori la democrazia, come trasformi la democrazia in mercato. Probabilmente Wendy Brown ha avuto ragione a sostenere che il capitalismo esautori la democrazia per come la conosciamo, trasformandola in mercato. In questo processo, i neoliberisti hanno ovviamente contestato (a volte rigettandolo del tutto) il significato tradizionale di democrazia che enfatizza la decisione pubblica e la maggioranza dei votanti come principale fonte di legittimità politica nel processo decisionale. Ma c’è anche bisogno di comprendere il positivo del neoliberismo, che per lo più ha incontrato il favore popolare grazie ai suoi richiami alla legittimità democratica. Più importante ancora, per molti neoliberisti il mercato rappresenta la migliore soluzione per assicurare la rappresentazione individuale del cittadino e la sua partecipazione ai processi sociopolitici. Questa è una soluzione che teoricamente permette alla scelta individuale di slegarsi dalla volontà della maggioranza, e oscura l’idea che i movimenti sociali, i sindacati e le organizzazioni possano dare a segmenti di popolazione il potere di migliorare le proprie condizioni di vita e combattere per i propri diritti. I neoliberisti vogliono piegare i meccanismi della politica tradizionale a vantaggio della democrazia di mercato, concentrata sulla scelta del consumatore e sul meccanismo dei prezzi. Questa ambizione si riflette nella costruzione di istituzioni internazionali rese immuni alla pressione della democrazia di massa per proteggere l’ordine di mercato. William Davies definisce giustamente il neoliberismo come «il perseguimento della politica attraverso l’economia». Il punto è che il neoliberismo riabilita e ammanta il mercato e le sue virtù al posto dei luoghi tradizionali della democrazia, e dà la precedenza all’economia sulla politica. Tutto ciò ci spiega come mai tanti economisti neoliberisti, come von Mises o Milton Friedman, in diversi momenti delle loro carriere abbiano supportato regimi autoritari o addirittura fascisti. Difendere il mercato è più importante che difendere la democrazia. Ora, è abbastanza chiaro che la democrazia dei consumatori, che i neoliberisti identificano con la democrazia di mercato, è analoga alla democrazia vera e propria solo per quanto riguarda i processi economici, non in virtù di un ordine politico caratterizzato da istituzioni e valori democratici tradizionali. È anche piuttosto chiaro che misure politiche approvate per sostenere un ordine economico «democratico» spesso hanno comportato misure fortemente antidemocratiche e approcci antiparlamentari alle rivendicazioni di partecipazione politica e sociale. Il neoliberismo tedesco degli anni Trenta è ovviamente un esempio significativo. Accomodanti verso il Nazionalsocialismo, i neoliberisti tedeschi hanno delineato un ideale di consumatore sovrano condizionato dall’azzeramento dei diritti sociali e dei fondamenti della democrazia. In realtà, erano soprattutto preoccupati di trasformare la popolazione in consumatori chiamati a realizzare le politiche di governo attraverso specifici comportamenti nel mercato con il contributo dell’educazione statale e alcune misure obbligatorie. In generale, sembrerebbe corretto sostenere che dare priorità al mercato rispetto alla democrazia è un modello ricorrente dell’ideologia e della pratica neoliberista. Ludwig von Mises ha scritto una volta che nessuno è «spontaneamente liberale» a meno che non sia «forzato ad esserlo». Ma come può un ordine essere liberale se le persone sono «forzate» ad essere liberali? Cosa intendeva von Mises? È una concezione diffusa e condivisa tra i neoliberisti? Credo che l’idea che le persone debbano imparare a essere liberali sia largamente condivisa tra gli ideologi del neoliberismo. Certamente, nessuno ha descritto quest’idea meglio di Michel Foucault. Per creare una società di mercato prima di tutto c’è bisogno di costruire un ordine di mercato e, in secondo luogo, insegnare (o forzare) le persone a comportarsi in accordo con i principi auspicati da quest’ordine. I casi analizzati da Foucault sono l’ordoliberismo tedesco e il neoliberismo di Chicago. Mises precede entrambi ed è stato spesso ritratto come una specie differente – un non-neoliberista – per via del suo grande impegno nell’economia del laissez-faire. Tuttavia, recenti ricerche suggeriscono che in realtà sia stato proprio lui l’inventore del paradigma politico neoliberista. Mises non pensava che l’ordine di mercato neoliberista sarebbe apparso spontaneamente. Trovava invece necessario convincere la popolazione della benedizione dell’ordine neoliberista e descriveva lo stato come uno strumento indispensabile e potente per creare e salvaguardare quest’ordine. Più di ogni altra cosa, la sua visione del laissez-faire implicava un’azione statale forte e non era nemica delle politiche autoritarie, come ha dimostrato il suo supporto per il regime autoritario di Engelbert Dollfuss in Austria negli anni Trenta. C’è poi il noto elogio di von Mises per le conquiste del fascismo italiano nell’opera di contenimento della minaccia comunista alla proprietà privata nel suo libro del 1927 Liberalism. La retorica della scelta nel discorso neoliberista è spesso ingannevole. Mentre è virtualmente impossibile essere contrari all’idea di una libera scelta per tutti e tutte, nella realtà la maggior parte delle persone non ha molti soldi da spendere e ben pochi beni fra cui scegliere in un’economia dominata da una diseguaglianza dilagante e da grandi business monopolistici. Se crediamo a questa narrazione, indeboliamo la nostra capacità di fare richieste collettive per diritti sociali. Penso come tanti ormai, che parlare di una democrazia dei consumatori sia stato un modo per attaccare le idee socialiste. Non penso che la nozione di democrazia dei consumatori sia proprio un tentativo diretto di sfidare la nozione socialista di democrazia. E, forse allo stesso tempo, la nozione di sovranità del consumatore non intende smantellare la critica di sinistra al capitalismo come caratterizzato dalla sovranità dei produttori. Ma non c’è dubbio alcuno che il consumatore sovrano neoliberista sia stato inventato come attacco alla democrazia economica di un capitalismo liberal-democratico. Attraverso il riapparire costante della lotta di classe come elemento  centrale della strategia neoliberista, diventandone l’aspetto più importante della sua ideologia. Per guadagnare un vantaggio morale, i neoliberisti hanno presentato la nozione di “democrazia del consumatore” come fosse lo sviluppo di una reale democrazia economica, la quale, in contrasto con gli ideali socialisti, poteva effettivamente assicurare a tutti i membri della società una voce in capitolo a livello di decisioni economiche, potere e ricchezza. E, ovviamente, parlando dei consumatori come dei «padroni della produzione», i neoliberisti hanno anche attaccato la concezione marxista del capitalismo come sistema guidato da e in funzione dell’arricchimento dei proprietari dei mezzi di produzione. I neoliberisti, sin dall’inizio, hanno provato a cooptare e ridefinire gli ideali di sinistra per legittimare i propri progetti politici. Va detto che questo modello del consumatore abbia colonizzato anche il linguaggio della sinistra della cosiddetta Terza Via – che ha ridefinito il progetto della sinistra in funzione dei consumatori anziché della working class, e guardando al mercato come al luogo ideale in cui far fiorire l’individuo. Si tratta di uno degli eventi politici più importanti della seconda metà del Ventesimo secolo, e alcuni libri fondamentali ci aiutano a capire come è successo. Daniel T. Rodgers, in Age of Fracture, ha scritto la storia del trapasso, tra gli intellettuali di destra come di sinistra sin dagli anni Sessanta, delle nozioni collettive di società e di politica in una concezione che mette l’accento sui molti, spesso contrapposti, interessi e desideri di individui autonomi. Più di recente, Stephanie L. Mudge, in Leftism Reinvented: Western Parties from Socialism to Neoliberalism, ci ha illuminato su come i partiti social-democratici negli anni Ottanta e Novanta abbiano abbracciato l’ideologia neoliberista che preferisce i mercati alla politica. L’ascesa e l’egemonia del neoliberismo sono strettamente collegate al fatto che i partiti di centro-sinistra hanno gradualmente incorporato nella propria ideologia e pratica politica l’idea che il governo sia incapace di rispondere alle richieste individuali. Hanno iniziato a sostenere che la capacità individuale di dare forma alla propria vita e alla società contemporanea fosse soddisfatta molto meglio dalle forze di mercato che dalla protezione offerta dalle istituzioni statali. In questo contesto, l’argomento del consumatore sovrano, democratico ed efficiente ha giocato un ruolo cruciale. I partiti di centro-sinistra non solo hanno seguito le impronte lasciate dagli ideologi neoliberisti, ma hanno anche allargato le loro ambizioni inquadrando il consumatore sovrano come motivo e strumento delle riforme del settore pubblico. Dobbiamo ricordare che le politiche dei nuovi partiti di centro-sinistra sono state in linea con gli sviluppi dell’economia postbellica, che avevano messo sempre più in discussione il ruolo dello Stato come decisore collettivo e pianificatore sociale, ed elevato la sovranità del consumatore a unica norma con cui misurare il benessere della società. Si può sostenere che negli anni Sessanta anche alcune importanti figure a sinistra hanno adottato questa narrazione contro lo stato. Penso che la critica di sinistra allo Stato sia stata cruciale per il trionfo del neoliberismo. Probabilmente questa critica ha contribuito a riformulare i dibattiti contemporanei su come creare un’equa distribuzione della ricchezza e del potere nella società. Ma anziché concentrarsi sulla sfida al capitalismo neoliberista diventato prevalentemente finanziario in Occidente dopo la delocalizzazione e frantumazione delle produzioni industriali, questi dibattiti si sono focalizzati sulle promesse tradite dal welfare state e sulla messa in discussione dell’idea stessa dello Stato come corpo capace di creare una società equa. Per esempio, molti a Sinistra hanno radicalmente abbandonato la loro fiducia nel ruolo dello Stato come strumento regolatore del mercato. Un esempio importante è rappresentato dall’avvocato dei consumatori Ralph Nader, famoso per il suo lavoro in favore di una maggiore regolamentazione del mercato. Tuttavia, negli anni Settanta è arrivato ad avere una posizione simile a quella di Milton Friedman. Ha iniziato a sostenere che era necessario ridurre il novero di agenzie federali inefficienti ed egoiste e restaurare l’efficienza economica deregolamentando il mercato e liberando gli individui come consumatori. Molti intellettuali di sinistra e politici hanno cambiato le loro convinzioni riguardo allo stato e al mercato e alla relazione tra loro. Oggi, molti sembrano credere che per realizzare una società più giusta si debba guardare alle falle delle istituzioni statali e delle azioni delle singole persone che ne sono a capo, anziché regolamentare il capitalismo privo ormai di ogni regola. Questa convinzione è fortemente radicata nell’idea, prevalente non solo nel neoliberismo ma anche più in generale nella disciplina economica, che l’interesse individuale sia la forza-guida dell’attività umana. Secondo questa idea, le persone entrano nelle istituzioni di governo solo per massimizzare i propri utili, e non per dedicarsi agli ideali del bene comune. In questo quadro, gli economisti e i politici spingono affinché le decisioni politiche vengano prese dal mercato, che descrivono come un luogo dedicato alle interazioni sociali in grado di darci ciò che lo Stato non può darci – efficienza, libertà, imprenditorialità, e democrazia…
(continua)

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