Politica: Pd e la questione Renzi. Perché Elly Schlein di fronte al levarsi di forti lamentele dalla base del partito sembra assecondare il gioco, senza neanche pretendere un approccio più chiaro ed esigente…?

«E’ una ferita». L’ha detto Giuseppe Conte, parlando del protagonismo renziano, che va ben oltre la Liguria. La, patria di Beppe Grillo, chiaramente per lui è complicato allearsi con Renzi proprio nel momento in cui deve reggere la sfida col fondatore. Vedremo come andrà a finire dopo che il leader di Italia Viva ha annunciato alla Stampa che mollerà la giunta di Marco Bucci e si presenterà senza simbolo, mimetizzandosi nelle liste civiche… La questione però è più ampia del voto in una Regione, ed è squisitamente politica. E va ben oltre la dimensione del campo largo, in nome della famosa «unità» contro le destre. Conte proprio per reggere la non banale sfida interna, deve poter mantenere una certa autonomia. Più Renzi conduce le danze, maggiore è la necessità di rafforzarla. Bel problema per Elly Schlein. In fondo, le mosse di Renzi non stupiscono più di tanto. Solito schema: quando è in un angolo, capovolge la sua posizione di partenza, per conquistare un nuovo spazio vitale. Accadde, ad esempio, con la nascita (e con la fine) del Conte 2. Sa che il suo rapporto col Paese è compromesso ed è alla ricerca di un nuovo ruolo: la via macroniana è andata male, l’idea di proporsi come erede di Silvio Berlusconi pure, le Europee un disastro tombale, ora è un mese che si propone come il regista di Elly Schlein. Quel che in verità colpisce è perché la Segretaria del Pd assecondi il gioco, senza neanche pretendere un approccio molto più esigente, rispetto alle scelte sbagliate del passato dell’ex Segretario. Eppure, Schlein ha vinto il congresso del partito democratico proprio sulla parola d’ordine del superamento del renzismo e ha sottoscritto e raccolto le firme per l’abrogazione del Jobs Act. Mica male: Renzi che torna alleato mentre gli si fa un referendum contro, senza che nessuno dei protagonisti abbia cambiato idea nel merito. C’è una bella differenza tra la necessità di organizzare i moderati nel centrosinistra, dopo il fallimento dei terzi poli, e il rimettere in campo proprio un artefice del fallimento in un ruolo (di regista) che, parlano i precedenti, è un po’ come affidare le famose pecore al famoso lupo. La verità è che quel furbacchione di Renzi ha colto l’elemento di fragilità psicopolitica di Elly Schlein. Dopo le Europee la leader del Pd ha iniziato a coltivare l’ambizione di guidare, quando sarà, il centrosinistra contro Giorgia Meloni. E lui si è mosso come il più convinto artefice di questo disegno mentre, nel Pd, è ripartito invece il solito gioco: provare a condizionarla oggi, nel gioco delle correnti, e magari far partire la discussione sul Papa straniero. L’ambizione, per carità, è legittima, ma al Nazareno la fanno un po’ troppo facile. Complice l’affanno del governo, tra evocazione di complotti e vertici da pentapartito a fine agosto, c’è una strana euforia non supportata da una solida strategia: vinciamo le Regionali, poi il referendum sull’autonomia, ed è fatta, smacchiamo la giaguara. E, senza sciogliere un solo nodo politico di fondo. Almeno Prodi tornando alla Festa dell’Unità dice chiaramente che: “Renzi è benvenuto ma si penta”. È un classico «sentiment» delle fasi di mid-term: successe nel 2005, quando il centrosinistra vinse ovunque le Regionali (poi però le Politiche un anno dopo furono un altro film) e con la fine del governo Berlusconi nel 2011. Anche in quel caso fu fatale l’approccio inerziale. Oggi, più di allora, l’alternativa, costantemente evocata, è tutta da costruire, al di là delle suggestioni esterofile di mezza estate: prima si prende a modello il Fronte Popolare francese, tranne poi non parlarne più quando diventa un modello di ingovernabilità, ora si rappresenta Kamala come una specie di Schlein indo-giamaicana, tutta diritti e antifascismo, anche se sta conducendo una campagna realistica di conquista del centro. La chiave è sempre la retorica emergenziale più che il merito delle questioni, perché lì il giochetto si inceppa. L’elenco è lungo: da Kiev e Gaza al mercato del lavoro, passando per salario minimo, infrastrutture (non solo liguri), per arrivare alla giustizia dove Renzi ha più volte votato col governo, fino a Bin Salman e alla questione morale cara ai Cinque stelle. La sensazione è che l’affaire Renzi stia progressivamente sfuggendo di mano, a forza di parlare di «unità» senza un minimo di riflessione su assetto e temi. Ora, dopo averlo rimesso in campo, Elly Schlein fa fatica ad arginarlo. Ma più Renzi fa il regista più la questione si va facendo complicata e Conte si irrigidisce. Due mine, in un campo che è più lungo che largo…

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